L’importanza del merchandising ai concerti, per la band e per i fan: ne parliamo con un gruppo che ha un’idea creativa forte e riconoscibile.

Il banchetto delle band è da sempre una costante ai concerti. Piccole band emergenti, gruppi oramai conosciuti: seppur con le opportune differenze, la maggior parte delle serate dal vivo non può prescindere da questo elemento.

Ma perché il merch table (come dicono gli anglofoni) è così indispensabile?

Il supporto economico

Il primo aspetto è ovviamente di natura economica. Storicamente la vendita diretta (senza intermediazione, negozi, commissioni o un pizzo da pagare all’etichetta) di musica su supporto fisico e del merchandising ad essa collegato è sempre stata essenziale per guadagnare, o almeno per rientrare nelle tante spese che gli artisti si trovano ad affrontare. I fan lo sanno bene: il metodo migliore per dare i soldi alla band è proprio durante i concerti, acquistando qualche cd o vinile per la propria collezione, o comprando una maglietta, una spilletta, un gadget, che servirà per ricordare una serata speciale.

Mostrare il proprio supporto ha una doppia valenza. Da un lato si vuole aiutare un musicista perché lo si considera parte integrante dell’ambiente degli “appassionati di musica”, un sistema dove pubblico e performers sono dalla stessa parte della barricata e lavorano insieme per mantenere in vita l’arte e il sistema. Dall’altro si vuole anche premiare o restituire qualcosa a chi ci ha regalato una bella esperienza musicale.

Ci sono stati artisti che hanno guadagnato di più dalla vendita delle magliette che dal cachet della serata (quando c’è, molto spesso non esiste nemmeno) o dalle entrate relative allo streaming. Non dimentichiamo che le royalty che la maggior parte dei musicisti riceve dai servizi di streaming sono misere: una ricerca del 2019 stabiliva la cifra media di 0,006 dollari per streaming a seconda della piattaforma. Ciò significa 16.600 stream per fare 100 miseri dollari. Nel frattempo le cose non sono certo migliorate.

Le entrate dal merchandising hanno quindi un’importanza enorme se pensiamo anche che l’ottantacinque percento o più delle vendite avviene durante un concerto.

La comunicazione

L’altro aspetto è legato alla comunicazione: per band e artisti il banchetto è uno strumento essenziale per farsi conoscere. Magliette, felpe, spillette e quant’altro, con il logo o l’immagine, sono potentissimi strumenti: un fan che indossa una maglietta non fa altro che riverberare l’attenzione.

Il banchetto del merch è un elemento chiave per provare a sviluppare il proprio brand e con il potere di farlo in proprio.

Ma non concentriamoci solo sulle strette dinamiche di marketing perché il banchetto è utile anche per creare un rapporto più diretto con i propri ascoltatori. Cosa c’è di più bello che scambiare due parole con i musicisti che apprezzi mentre compri loro qualcosa e te lo fai firmare seduta stante? In questo modo il disco diventa unico ed acquista un valore maggiore, in termini affettivi ma anche in termini economici. Non succede in tutti i casi: sappiamo che più la band è di successo, più queste possibilità risultano limitate. Anche se personalmente ho sempre bellissimi ricordi di Steve Shelley (batterista famoso per il suo lavoro con Sonic Youth, Cat Power, i progetti solisti di Lee Ranaldo e Thurston Moore, nonché fondatore della Smell Like Records) come addetto al banchetto in svariate occasioni, sempre sorridente e disponibile. Per un mondo di musica “alternativa” che si basa anche su un certo tipo di cultura e di rapporto con la gente, questo scambio personale ed emotivo è ancora oggi la consuetudine. Certo, c’è il caso limite dei Fugazi e della Dischord Records: niente t-shirt o simili, le uniche autorizzate sono quelle fatte dai fan col pennarello, se si eccettua qualche eccezione (qui apriamo una serie di considerazioni che per adesso non è il caso di approfondire).

Usando una frase ad effetto, possiamo dire che il banchetto è il km 0 della musica!

Pensateci bene: quanta soddisfazione avete provato nel comprare un disco (ma anche un semplice demo registrato alla buona e con i titoli scritti a mano) ad una band che non conoscevate ma di cui avete visto un gran bel concerto?

In mezzo a questa breve analisi è giusto fare qualche domanda ad un gruppo che ha sempre messo grande attenzione al banchetto in sé e grande cura nella scelta dei prodotti di merchandising offerti: stiamo parlando delle GoGoPonies! Si definiscono (leggo dal sito) “a movement, not just a musical group, a bit similar to avant-garde art”, sono trascinanti e non si prendono mai sul serio.

Intervista alle Gogoponies

Iniziamo con una pre-domanda puramente tecnica: Gogoponies (senza gli spazi) o Go Go Ponies (con gli spazi)? Oppure GoGoPonies (senza spazi ma con le iniziali maiuscole)? Vedo che utilizzate indifferentemente le varie versioni. Qual è la denominazione ufficiale per chi, come me, sviluppa un’ossessione per questo tipo di dettagli?

Il primo logo, anche sulle t-shirt, era Go Go Ponies (con un velato omaggio alle GoGo’s) oppure GoGoPonies; con il tempo, anche per le limitazioni di certe piattaforme che non accettano maiuscole in mezzo alla parola, è diventato Gogoponies. In Uk invece è presto diventato GOGO PONIES. Amichevolmente noi stessi ci chiamiamo “Ponies”. Quindi non vi abbiamo risposto!

La prima domanda vera è quella di rito: com’è nato il progetto Gogoponies? Che esperienze musicali avete già avuto alle spalle?

Il progetto nasce dalla voglia di Carolina (cantante) di avere una nuova band dopo un breve stop dovuto allo scioglimento della precedente. Da lì è nata una “ricerca” tra persone che avrebbero potuto abbracciare l’idea e tutto il resto. L’idea iniziale era di essere tutte donne, ma poi l’amicizia (e la stima) verso Bengala (bassista) ha prevalso; Bengala ha un grande background di gruppi, quasi sempre pesanti, con diversi tour anche all’estero e Usa; inoltre la sua presenza ci ha permesso di portare avanti con più credibilità il discorso di supporto alle donne senza risultare estremamente schierati, e poi perché certe tematiche non hanno sesso. Vanessa (chitarra) viene da una band noise e ha portato quella ventata meno pulita, mentre Silvia (batteria) è alla prima esperienza in gruppo in quanto prima si divideva tra un collettivo di percussionisti in stile Stomp, e la sua passione (nonché professione) di ballerina e insegnante di danza.

Eat more pasta and go go fasta!

Avete un progetto molto definito, mirato, sia nei testi sia dal punto di vista musicale: siete partiti con le idee ben precise già dal primo momento (puntare su un certo tipo di temi e di suoni) oppure avete messo a fuoco tutti i vostri elementi poco alla volta?

Come detto, l’idea era molto precisa già dall’inizio. Divertirsi, divertire (perché sono decisamente troppi i gruppi che salgono sul palco, fanno il compitino, scendono e pretendono di vendere milioni di cd al banchetto) ma anche di dire qualcosa, magari in maniera diversa, più o meno velata. Certi testi sono più espliciti, anche se spesso nascondono un messaggio più profondo di quello che può sembrare; un aspetto importante per arrivare a chi vuole prenderci solo “alla leggera”, ma anche a chi vuole andare più a fondo. Le sonorità partono da influenze come Peaches, Iggy Pop, Le Tigre o Turbonegro (che sono anche gli artisti che omaggiamo con cover) con una velata passione per suoni più duri come Manson e Slipknot; ne esce un suono, in continua evoluzione, ruvido e scarno, grezzo e non troppo articolato, ritmato, a tratti dance, per arrivare all’obiettivo di divertire e divertirsi. L’ispirazione per i testi, oltre all’universo femminile (con tutte le problematiche del caso, corpo, leggi ingiuste e luoghi comuni), viene da B-movie, trash, cibo, wrestling, film, serie tv.

Ci raccontate qualcosa anche della “scena” in cui vi inserite, una scena che sembra fuori fai classici radar (quindi non la classica scena punk, hardcore o indie)? Quanto conta per voi? Penso anche al vostro legame con il mondo brianzolo dello skate e al progetto Sbanda Brianza: mi sembra ci sia una ricerca del senso sano di comunità e appartenenza.

Scena è una parola che non amiamo molto in realtà; ma perché viene spesso usata in modo non corretto, a volte addirittura come rifugio per le proprie convinzioni. Appartenere a un ristretto “club” può infatti avere un effetto boomerang e limitare; la crescita, la fantasia, le opportunità. Spesso veniamo accostati al punk e, se si parla di attitudine (come anche di DIY) ci fa più che piacere, mentre musicalmente siamo decisamente distanti da quei suoni e anche da quella scena. Ancora più distanti siamo dalla scena indie che invece ha monopolizzato i palchi negli ultimi anni, spesso caratterizzata da poca felicità e molta sobrietà (o noia, o monotonia che dir si voglia).

Siamo stati chiamati a suonare al Rebellion Fest di Blackpool (UK), che è il più grande festival punk diy che esista (rinviato al 2022), così come ad aprire per Doyle dei Misfits, Vibrators, Pussy Riot, Soap Girls, Pino Scotto, Immanuel Casto, Insanity Alert, Nashville Pussy, Ritmo Tribale, Supersuckers (live poi annullato per inizio della pandemia), Bee Bee Sea, ma anche Clan of Xymox e Neon che hanno sonorità molto più dark, e non solo. Ci siamo sempre inseriti senza nessun problema e abbiamo incassato complimenti dai musicisti e dai fan appartenenti a “scene” più disparate.

L’essere difficilmente etichettabili, nonostante possa creare qualche problema nel proporsi a certi locali e in certe realtà, meno aperte, ci permette di vivere esperienze diverse e raggiungere obiettivi impensabili. Ultimo (quasi) successo è stato arrivare tra le 10 band finaliste per aprire l’Hellfest 2022; appuntamento (e sogno) per ora rimandato.

Il legame con Sbanda Brianza è prima di tutto di amicizia e poi di figanza. Lo skate, il longboard e le altre discipline che propongono sono tutte molto scenografiche e adrenaliniche, nelle quali ci ritroviamo molto. Oltre a questo, c’è un supporto reale e molta sintonia per quel che riguarda il modo di fare le cose. Anche loro cercano di coinvolgere più gente possibile, il territorio, le famiglie, anche e soprattutto al di fuori dal mondo delle rotelle, affiancando all’evento sportivo tutta una serie di attività parallele, concerti, street art, espositori, birre e cibo, che scatenano feste sempre divertenti e coinvolgenti. Il “senso sano di comunità” che tu citi è dato proprio dal sentirsi a proprio agio e non dall’essere “obbligati” a presenziare perché parte di una “scena”.

La prima grande cosa che ho notato ai vostri primi concerti è la particolarità di puntare sul merchandising. Proponete un banchetto vario e ricco su cui però non trova spazio la musica in senso stretto, intesa su supporto (cd, vinile, cassetta, ecc). A cosa si deve questa scelta?

Il nostro Pony Manero è un grafico / creativo e oltre ad avere idee strampalate, si adopera concretamente per fare diventare realtà anche le nostre. Il fatto che (per ora) non ci sia “musica” è stata inizialmente una scelta perché, quando non hai una fanbase che acquista la tua musica per piacere, e non solo per amicizia, è consigliabile puntare su merch differente, che ti permette, onestamente, di raccogliere fondi per fare altro merch e fare un po’ di cassetto (anche in vista delle spese per stampare la musica su supporto fisico). Il disco arriverà presto, anzi sarebbe dovuto essere già fuori ma abbiamo messo un attimo in pausa diverse cose in attesa di riprendere l’attività live (che è poi dove si vendono i suddetti dischi).

La prima cosa che si pensa vedendo il vostro banchetto è “Wow!”. Una reazione dovuta a proposte sicuramente particolari e varie: deodoranti per auto, fumetti, giochi di carte, magliette di tutti i tipi, un kway, una birra e addirittura del gin. C’è sicuramente molta cura, molte idee e creatività di partenza. A tutto ciò si associa, presumo, anche una buone dose di ricerca e selezione di fornitori, ne è un esempio la vostra collaborazione con la distilleria Eugin con cui avete ideato e prodotto il VaGin Lover (se volte saperne di più ecco un link per voi). Quanto ci lavorate su questi aspetti?

Ci lavoriamo tantissimo, e le idee che arrivano sul banchetto, pur essendo tante, sono solo una parte di quelle che abbiamo; alcune sono troppo onerose, o semplicemente devono ancora trovare un modo per essere realizzate, ma presto o tardi riusciamo sempre a portare a termine le idee. Come detto in precedenza, soprattutto all’inizio, ci siamo focalizzati sul creare qualcosa di facilmente vendibile anche a chi nemmeno ci conosceva, quasi sempre a un prezzo abbordabile per essere ancora più attrattivo; così è tuttora per il FIGA PIOVE (la giacchetta per la pioggia) che ci ha permesso di registrare praticamente tutto il disco, il deodorante che ormai pende da un sacco di auto. Questo ci ha permesso, oltre a incassare, di ampliare la nostra fan base anche attraverso i social. Ci sono articoli che vendiamo anche grazie ai post sui social, perché sono cose fortemente “instagrammabili” e ogni volta che piove, per esempio, riceviamo stories (e richieste di acquisto) per il nostro giacchino. C’è una forte ricerca di fornitori, soprattutto sul territorio, e di selezione, per qualità e prezzo, ma anche perché ci piace collaborare con altre realtà (distanti dalla musica) per creare rete, nuove amicizie, nuove collaborazioni o situazioni. Le ultime t-shirt che abbiamo lanciato cambiano colore con il caldo e soprattutto, per restare ironici e realistici, una t-shirt nera con la scritta “who the fuck is GOGO PONIES?” più che per ricordarci che non siamo nessuno, per poter vendere merch anche a chi non ci conosce o a chi non ci sopporta…

Abbiamo fatto le carte e in seguito organizzato tornei in ludoteche o simili, che poi si sono affezionati a noi e ci hanno chiamato per feste o festival. Abbiamo fatto la birra, un GOSE (una particolare birra leggermente salata) con Railroad di Seregno (dove abbiamo anche suonato) per poi portare le birre, attraverso eventi ludici, in locali dove suonare non era possibile (per dimensione o mancanza di palco); un altro modo per raggiungere un pubblico diverso, in un modo diverso. A dicembre 2020 è poi nato VAGIN LOVER, in collaborazione con Eugin di Meda, che doveva essere una limited natalizia di 100 bottiglie ma che è andata esaurita in un’ora dopo il primo post sui social; sono diventate poi 300 in pochi giorni. Dall’inizio dell’anno è diventata una produzione continua, pur sempre artigianale e indipendente, che sostiene le spese della band, lo studio, i viaggi e tutte le altre idee. Anche il gin ci ha portato a espandere il nostro raggio, soprattutto con l’edizione Rainbow che abbiamo fatto a giugno per il mese del Pride, a conoscere nuove persone e nuove realtà, e ad aumentare la nostra “community” soprattutto lgbtqi+, trans, genderless, femminista, alla quale teniamo molto, che ha scatenato una serie di idee e promesse che non vediamo l’ora di poter raccontare e realizzare.

Pony Manero e Carol Motown – foto di Emanuela Giurano

Il pubblico (sia i vostri fan affezionati sia chi vi ha scoperto ai concerti) come reagisce al banchetto?

Ahah, speriamo sempre che le reazioni più forti siano vedendo lo show ma, inutile nasconderlo, c’è una certa reazione anche al nostro banchetto. Chi ci conosce viene per vedere cosa siamo riusciti a inventarci di nuovo; chi invece si avvicina per la prima volta rimane basito dalla quantità di diversi prodotti che abbiamo e, difficilmente, se ne va a mani vuote o senza un sorriso almeno.

In alcuni concerti, negli anni passati, vi ho visto proporre dei favolosi poster, diversi e personalizzati per ogni data, che poi venivano venduti durante la serata in copie numerate e limitate: all’estero è una cosa che si fa spesso, in Italia molto meno ma, da amante della musica, delle illustrazioni e del design, l’ho trovata un’idea sempre vincente (e infatti ho appeso a casa alcune di queste locandine, tra cui una delle vostre). Come avete deciso le collaborazioni con i vari artisti e come le avete gestite? È una cosa che riproporrete?

I poster sono un’altra delle cose alle quali teniamo molto, oltre che per la bellezza oggettiva e per la creatività, sempre per quel discorso di estendere la rete e non fare solo musica. ma abbattere le barriere tra un’arte e l’altra. Unire le forze, creare sinergie e mescolare le arti. In molti si presentavano al banchetto per scoprire il poster della data in questione, in tanti hanno iniziato addirittura una collezione e scoperto illustratori super talentuosi alcuni dei quali, grazie a questa iniziativa, hanno ricevuto richieste da locali o band per illustrazioni e collaborazioni. Questo era esattamente l’intento di questa iniziativa che speriamo di poter riprendere, insieme ai concerti, al più presto. La poster art, decisamente poco diffusa in Italia, è una fetta di arte che ci piace molto, da sempre. Purtroppo non è facile da sostenere (anche reclutare artisti non è sempre così semplice) ma sicuramente è una cosa sulla quale torneremo.

In coda all’articolo segnaliamo alcuni contatti di chi ha collaborato con voi. A proposito di creatività e impatto visivo non posso non citare i costumi con cui vi presentate sul palco: outfit sempre diversi e, in alcuni casi, davvero molto particolari. Ritorna la vostra grande attenzione a tutti gli aspetti. Immagino che ci sia un gran lavoro dietro, sia di ideazione sia di realizzazione. Com’è nata questa idea e come la state portando avanti?

Anche i costumi, quasi sempre realizzati (costruiti) da noi sono una cosa alla quale teniamo molto e che ci caratterizza. Anche questo è uno degli aspetti che genera curiosità in chi già ci ha visto, perché non si sa mai cosa sarà la prossima volta. Sono tutte cose che aiutano a convincere le persone a tornare a vedere i nostri show, a fidelizzare, a divertire, a limitare la noia.

Siete da poco tornate a suonare dal vivo, finalmente. In questi tanti mesi di sosta forzata non avete fatto concerti online. Presumo che il motivo sia dovuto al fatto che avete un impatto molto forte nei live che necessita di pubblico, sudore, esaltazione comune, divertimento insieme. Inoltre la cura nei dettagli su tutti gli aspetti di ogni data non è replicabile nella modalità online e perderebbe di forza. Sbaglio?

Non sbagli. Abbiamo fatto di necessità virtù e abbiamo impiegato il tempo di stop forzato concentrandoci su tante altre cose (il gin è una di queste, per esempio). A febbraio 2020, in principio di pandemia, ci siamo visti annullare uno show a Parma e quella sera abbiamo deciso di suonare lo stesso, dalla sala prove, in streaming. Sì, prima che diventasse una moda e soprattutto una noia. Quando poi la cosa si è fatta più seria, con lockdown e restrizioni, abbiamo deciso di non apparire più, nonostante le richieste di dirette Zoom, “concerti” online, tavole rotonde con connessioni imbarazzanti e discussioni spesso poco interessanti e utili; successivamente, quanto le restrizioni sono diventate meno strette, abbiamo rifiutato richieste di show acustici (peraltro impensabili nel nostro caso) o cose simili. Abbiamo aspettato, creato, pensato, studiato, scritto nuova musica e nuovi pezzi, perché per noi è impossibile stare fermi ma abbiamo passato un periodo storico nel quale era anche doveroso e rispettoso lasciare spazio a cose più importanti.

Farete mai un disco? Farete mai uscire musica su supporto fisico, magari convogliando la vostra creatività in un oggetto fisico non banale?

Arriva, arriva. Potete solo immaginare, visto il nostro banchetto e la creatività che voi stessi state elogiando, la difficoltà di partorire idee per il disco. Difficoltà per abbondanza di idee che, complice il periodo di stop forzato, si sono moltiplicate complicando non poco le decisioni finali. Abbiamo abbandonato l’idea iniziale, che sembrava definitiva, per seguirne un’altra che speriamo sia accolta con calore da chi attende questo momento da tanto tempo. 

Un’ultima domanda: cosa avete in programma per il futuro?

Abbiamo nuove date, nuove situazioni interessanti e importanti, un tour di 10 date in UK, con la data al Rebellion, che rimandiamo da due anni, e soprattutto il primo tour, 6 date tra Tokyo e Osaka, in Giappone, anche questo da due anni in stand-by. E poi un sacco di merch (ha ha) e altre idee, più o meno fattibili; o meglio, alcune più facili, altre più articolate, ma siamo sempre riusciti a trovare un modo per esaudire i nostri desideri.

Non vediamo l’ora di scoprire cosa tirerete fuori per sorprenderci ancora!

Come promesso ecco alcuni degli artisti che hanno collaborato per i poster citati (e i loro rispettivi link): Nanà Dalla Porta, Enea Seregni, Luca Brambilla, Danny il Villano, Carlo Schievano, Lorenzo Cecchetto, Dario Maggiore, Massimiliano Marzucco, SoloMacello.

I link per trovare le ‘Ponies sul web: