Una guida pratica e semiseria, senza pretese, basata sull’esperienza e su ricordi dolorosi.
Abbiamo selezionato dieci cattive abitudini, alcune delle quali fortunatamente relegate nel passato ma che ci fanno tornare i brividi, e altre che sono ancora presenti. Sono tutte scelte sbagliate che rovinano l’ascolto finale anziché incentivarne la qualità. In questo decalogo evidenzieremo quelle che consideriamo più frequenti e daremo piccoli consigli su come rendere più gratificante l’esperienza acustica e contrastare queste prassi erronee.
1. L’ascolto dall’auricolare condiviso

Tipico della gita delle medie ™, una terminazione a testa con la scusa di stare vicini. Galeotte furono le cuffiette. Termine sbagliatissimo sul piano tecnico: la cuffia si indossa sempre sulla testa, a prescindere che sia una cuffia da registrazione in studio oppure quella per la doccia. Il problema è che a causa del missaggio stereofonico l’ascolto di un singolo auricolare ti portava ad ascoltare metà dei dettagli della canzone. Quindi, esagerando, rinunciavi alla chitarra in favore del basso. O comunque perdevi una quantità incredibile di dettagli e sfumature. Certo, molto spesso ascoltavi roba perché piaceva all’altra persona. Persino il pop più becero rinvenuto nei cestoni dei supermercati di Podgorica, Montenegro. Lo si faceva per consolidare un’amicizia, per iniziare una relazione o perché non tutti avevamo un walkman o un lettore mp3 durante la gita di scuola. Credo che questo sia il motivo principale del successo degli 883 nella mia generazione: incrementare le possibilità di petting. Ma oggi è un’abitudine terribile, da evitare come la peste. Soluzione? Acquistare un Jack Splitter Y da 3,5mm, in cui inserire una coppia di auricolari. Costo inferiore ai 10 euro e se non dovesse scattare nulla, almeno ascolti musica in maniera degna. Non rispondiamo della scelta delle canzoni. Ma è quantomeno indicativo della potenziale durata del rapporto.
2. L’ascolto ad un volume assolutamente folle, in macchina o negli auricolari

Oltre a essere fastidioso per gli altri e poco corretto sul piano della convivenza civile, in assenza di un impianto degno stiamo solo favorendo la comparsa di un acufene. Anche perché tendenzialmente, con gli impianti di serie, più si alza il volume e più si va incontro a difetti. Nelle vecchie macchine gli altoparlanti arrivavano a distorcere il suono e “friggevano”. In quelle nuove spesso si attiva un sistema che limita il volume e che non fa altro che comprimere l’audio togliendo dinamica, cioè l’elemento principale che ci provoca piacere quando ascoltiamo musica. Dato che non siamo musicisti come Pete Townshend, Bono Vox e Thomas Bangalter dei Daft Punk, ma tipi che stanno ascoltando musica in macchina, smettiamo subito. Meno volume, più qualità. Se invece ascoltate reggaeton, smettete direttamente di ascoltarlo. O fatelo ad un volume contenuto: non state guidando l’ambulanza a sirene spiegate per far liberare la carreggiata nella vostra corsa contro il tempo.
3. Avere pessima cura dei supporti fisici

Nella fattispecie cd audio, musicassette e vinili. Pessime abitudini che inficiano la qualità della riproduzione e dunque limitano l’ascolto, tra cui l’abbandono al caldo delle musicassette, che spesso degeneravano in un garbuglio di nastri che ricordava una versione minimal dello Flying Spaghetti Monster. Il risultato era la perdita di intere frequenze. Oppure i cd conservati fuori dalla custodia, buttati in macchina nei vani laterali o dentro il libretto delle istruzioni della Fiat Punto. Dannoso e francamente immorale, oltre che doloroso per un music geek.
4. L’acquisto di auricolari non adeguati al tipo di supporto di riproduzione

Spesso, scelti sulla base di preferenze di moda o economiche. Sarebbe meglio scegliere auricolari o cuffie adeguati alla fonte sonora. Non ha senso spendere cifre folli per cuffie hi-fi che useremo esclusivamente con lo smartphone se non siamo pronti ad accettare un volume estremamente più basso di quello fornito da un paio di auricolari economici. Parlando di marche, perché scegliere cuffie o auricolari che costano uno sproposito rispetto a quello che offrono (qualcuno ha detto Beats?), quando esistono decine, se non centinaia, di altre cuffie che fanno un lavoro decisamente migliore ad un terzo del prezzo? Non scegliamo le cuffie per lo status symbol come fanno i calciatori. Inoltre Bears eat Beats.
5. L’ascolto dalle casse integrate del pc o del telefono

Lo facciamo tutti, soprattutto quando abbiamo fretta o non siamo nelle condizioni di poter ascoltare in maniera degna un disco. Comprensibile e legittimo, perché non sempre siamo nelle condizioni di ascoltare un disco con un impianto o una strumentazione adeguata. Anzi, questo è un tema che ci sta a cuore, perciò state sintonizzati perché arriverà un articolo con i consigli per costruire un buon impianto senza dover vendere un rene. Tuttavia è un dato di fatto che la qualità dell’ascolto può elevarsi in maniera esponenziale se si passa dagli speaker integrati del pc o telefono all’uso di un buon paio di cuffie, eventualmente con l’ausilio di un DAC esterno. Se questa sigla non vi dice nulla, non vi preoccupate perché ne parleremo ma per ora potrebbe essere sufficiente una ricerca su Google. Se si aggiungono un paio di speaker o una cassa bluetooth (qualche purista qui potrebbe rabbrividire, ma ormai ci sono speaker bluetooth che offrono una qualità accettabilissima e migliore delle cassettine integrate del pc o del telefono), possiamo da subito spostare l’asta della godibilità dell’ascolto restando dentro limiti di budget più che contenuti.
6. La bulimia nei download

Vi ricordate Soulseek, eMule, Napster e Kazaa? Oppure i torrent su PirateBay o quelle piccole gemme che costellavano l’arcipelago degli album blog? Vi ricordate le prime volte che avete scoperto quell’universo di dischi a vostra disposizione? A distanza di anni era veramente necessario scaricare 25 gigabyte di demo e registrazioni in studio di gruppi punk hardcore polinesiani o death metal tecnico di tutta la provincia di Isernia e del Basso Lazio? Tutta roba che, in larga parte, non abbiamo mai ascoltato e che, dieci anni dopo, abbiamo cancellato dai nostri hard disk. In giapponese esiste la parola Tsundoku, che indica l’abitudine di acquistare libri e lasciarli impilati sul comodino senza leggerli mai. Ecco, kind of. Ma se volete approfondire l’argomento vi consigliamo la lettura del terzo capitolo di Retromania di Simon Reynolds.
7. Barbarism begins at home, ovvero l’ascolto da file di qualità indegna

Al punto 7 abbiamo deciso di raggruppare una serie di abitudini relative all’ascolto di file audio di bassa qualità. Iniziamo con i lettori mp3 o i telefoni di generazione antecedente agli smartphone che avevano uno spazio esiguo da dedicare alla libreria dei file. Quando non si voleva rinunciare alla quantità, l’unica soluzione consisteva nel comprimere i file con conseguente drastica riduzione della qualità. Ridurre un file da 256kbps di un terzo era una soluzione funzionale quanto combattere i costi di mantenimento di una BMW eliminando parti fisiche dell’auto. Un secondo fenomeno diffuso erano le canzoni scaricate da Youtube, tramite convertitori video in mp3. Si ascoltavano brani la cui qualità era rudimentale e spesso corredata di pubblicità prima, dopo o durante la riproduzione. Si inseriva l’url del video nel campo del sito che offriva questa funzionalità e veniva generato il file mp3 da scaricare. Il processo era disastroso per la qualità audio: infatti se il formato originario di Youtube era di base compresso , il processo attuava da questo una conversione in un formato ulteriormente compresso. Brividi. Pensate siano episodi relegati nel passato? Oggi è diffusa la convinzione che la versione crackata o free di Spotify sia sullo stesso livello della Premium. In realtà state ascoltando una qualità paragonabile a quella di un mp3 a 128kbps (con l’abbonamento Premium la qualità è invece quella di un mp3 a 320kbps). Per chi non c’era o non si ricorda, i 128kbps erano la regola quando c’erano i modem 56k. T’o ricordi Signò?
8. Ascoltare solo playlist di canzoni singole e mai album interi

Diciamoci la verità: da quando la musica liquida si è imposta rispetto ai formati fisici, questa pratica è diventata la maniera più diffusa di fruire del nostro medium preferito. Se però dovessimo puntare il dito, l’oggetto che più di tutti ha incentivato questo tipo di ascolto rimane senza dubbio l’Ipod. In “Retromania”, citato in precedenza, Reynolds osservava come il fatto di avere migliaia di canzoni a disposizione invogliasse ad abusare della riproduzione casuale per scoprire quale sarebbe stata la prossima fantastica canzone che il nostro lettore ci avrebbe proposto, senza magari nemmeno aver dato il tempo a quella precedente di terminare. “Ad un certo punto” – osservava – “avrei potuto semplicemente togliermi le cuffie e limitarmi a guardare i titoli sul display”. Ovviamente servizi come Spotify hanno contribuito a peggiorare la situazione, con zilioni di playlist organizzate per categorie (dalle più standard alle più bislacche) e addirittura fatte ad hoc per l’utente in base ai suoi ascolti. Difficile immaginarsi più incentivi al conformismo e alla pigrizia mentale, terreno fertile per una materializzazione degli scenari spaventosi descritti in Musica Unica.
9. L’ossessione per il presente, il qui ed ora

La FOMO (acronimo di Fear Of Missing Out) può essere una brutta bestia, e noi appassionati di musica la conosciamo piuttosto bene. Le famigerate classifiche di fine anno ci obbligano tassativamente all’ascolto di decine e decine di album per mostrare di essere sul pezzo, sempre aggiornati sulle ultime tendenze e per dimostrare a noi stessi e agli altri che non siamo fossilizzati nel passato. La convinzione che esista un obbligo, una necessità di essere proiettati in avanti e perfettamente in grado di apprezzare la musica del momento. Manco esistessero obblighi di aggiornamento professionale che, se non soddisfatti annualmente, ci potrebbero costare la “cancellazione dall’albo degli ascoltatori d’eccellenza“. Questa smania per la novità e l’aggiornamento, come una versione vivente di Android, non deve però condizionarci negli ascolti. Dobbiamo fermarci ed apprezzare, con i giusti tempi, le novità ma senza rinunciare a recuperare il passato, compreso quello recente. Essere open minded e onnivori, con i tempi ed i modi giusti per goderci e metabolizzare quello che abbiamo sul piatto del giradischi. Anziché ingurgitare tutto quello che troviamo in pochi secondi come farebbe un labrador. A proposito di classifiche musicali ecco un quesito per chi stilava le classifiche di fine anno. Quali erano i dieci dischi del 2017 che avete ascoltato di più? Ve li ricordate tutti senza dover sbirciare gli appunti? Noi no. Eppure sono passati meno di cinque anni.
10. Praticare solo l’ascolto multitasking

La società attuale è dinamica e multitasking. Sta diventando sempre più difficile potersi ritagliare uno spazio indipendente per attività che un tempo godevano di una dimensione esclusiva, come la lettura di un libro o appunto l’ascolto di un disco. Invece si tende ad accorpare l’attività di ascolto con altre occupazioni, relegando l’ascolto ad una abitudine complementare, di accompagnamento e che ne deprime l’efficacia ed il piacere. Se l’attenzione è dominata dall’attività principale il risultato è che spesso non abbiamo metabolizzato o fissato i concetti musicali alla base del brano. Un ascolto sprecato, perché relegato ad una mera funzione accessoria. La nostra attenzione è ripartita tra più attività. Questo non solo ci impedisce di cogliere dettagli e sfumature, ma sostanzialmente non ci permette di capire realmente cosa si sta ascoltando. Magari ci colpisce la melodia e battiamo persino il piede a tempo, ma siamo distratti da altro e non cogliamo mille altri aspetti che solo un ascolto esclusivo può offrire. Sappiamo che non è facile perché l’abitudine è dura a morire, ma dovremmo sforzarci di lasciare da parte il telefono, lo schermo del pc e qualsiasi altra distrazione. La musica merita la dignità di stare in primo piano.
In conclusione
Guardiamoci in faccia: siamo tutti colpevoli, noi per primi. Ma esserne consapevoli può aiutarci a ridurre le cattive abitudini in favore di un’esperienza di ascolto più completa e appagante. Senza farcene un’ossessione, dopotutto la musica è prima di tutto un piacere, no?