La resistenza in cucina di Daniele De Michele e il suo rapporto su musica e cibo come forme di pedagogia.

Daniele De Michele è originario del Salento, da cui si è separato solo geograficamente quando aveva diciotto anni. Per motivi di lavoro e di studi universitari, ha girato tra il nord Italia, Parigi ed altre zone ma non si è mai separato spiritualmente da casa propria. Perché il pensiero torna ai luoghi della memoria, topoi ancestrali appresi tramite la pedagogia del gusto: sapori, profumi e colori dell’infanzia e dell’adolescenza ci forgiano, soprattutto se abbiamo avuto il grande privilegio di crescere con dei nonni che ci hanno fatto amare la cucina. Le nonne, peraltro, sono state omaggiate nella webserie “Nonne d’Italia”, curata insieme al Corriere della Sera e Treccani.
Daniele, conosciuto al grande pubblico come DonPasta (O DonPasta Selecter), oggi ha superato i quaranta, è un economista, “gastrofilosofo militante”, dj, divulgatore alimentare, regista, scrittore e operatore culturale. Per maggiori dettagli, consultate il suo sito.

La pedagogia del gusto e la memoria dei luoghi dell’anima

Daniele, come alcuni di noi, è una di quelle persone cresciute con l’istruzione sentimentale e gastronomica dovuta ai nonni e genitori. Questo retaggio ancestrale ha plasmato il suo approccio nei confronti della cucina, del viaggio, della musica e del territorio. Lui stesso racconta (come in questo suo intervento nel TedExLecce o in lingua francese TEDxPlaceDuCapitole – Don Pasta – Kidchen) di come l’espatrio abbia rappresentato un confronto ed uno scontro tra “civiltà“, tra mondi. Da un lato le metropoli (cosmopolite, moderne e ricche), dall’altro la provincia (amena, rallentata, ancorata alla tradizione e talvolta povera). Ma allo stesso tempo la ricchezza economica dell’evoluta metropoli era caratterizzata da una propria povertà endemica, non economica. La povertà della perdita della memoria gastronomica, della memoria dei luoghi dell’anima e della conoscenza della tradizione. La perdita della dimensione della cucina come dono e come invito. E questa necessità di dono e di comunione, di comunità, appunto, è al centro dei suoi cooking show.

Cosa sono i cooking dj set?

Tipologia di performance che mi ha impressionato e spinto a dedicare su E.P. uno spazio all’opera di DonPasta. Non solo per la mission di Daniele, ma anche perché c’è un parallelo con una delle anime di EP. Entrambi vogliamo puntare alla riscoperta del territorio, inteso come valorizzazione e mappa musicale delle identità e realtà del sottobosco (underground o meno), delle band e degli artisti locali che meritano visibilità. Supportare le scene locali non è tanto diverso da supportare i prodotti e i produttori locali, intesi come “interpreti della terra”. In fondo la musica è cibo per l’anima. Don Pasta, come monicker, nasce in un club parigino, il Montmartre Jungle, nei primi duemila. Daniele De Michele, che faceva il dj dai 14 anni, inizia a proporre qualcosa di semplice quanto innovativo: combinare il djset classico con la preparazione di pasta fresca. Nasce, con intento scherzoso e allo stesso tempo reverenziale, il soprannome Don Pasta. 

Altro che Asmr – Immagine presa dal sito di DonPasta

E come funzionano?

La semplicità di una idea si riconosce nel momento in cui il pubblico ne comprende immediatamente la portata e si domanda come mai nessuno ci abbia mai pensato prima. La realizzazione della stessa, su un piano pratico, diventa più difficile. Nei suoi spettacoli di showcooking DonPasta coniuga le sue due grandi passioni. Cucina mentre mette i dischi e cambia i dischi mentre cucina. Un cooking dj set. Vedrete la pasta fresca prendere vita dal vulcano di farina e uova, tagliatelle stese ad asciugare sull’asta del microfono e passaggi dai piatti in vinili a quelli in ceramica. E la condivisione non si limita solo all’ascolto, in cui il selezionatore (appunto il selecter) di suoni e melodie impiatta nel suo menù sonoro per soddisfare gli appetiti dei presenti. Ma è anche una condivisione del cibo, preparato da DonPasta, con i suoi commensali-ascoltatori. Il Cibo è un dono, un momento di comunione e di condivisione. L’Imperia, rigorosamente a manovella e baluardo della tradizione, insieme al mixer e al giradischi, sono gli strumenti che vengono fatti suonare in questo dj-set. Senza considerare i rumori della cucina, che vengono catturati dall’uso strategico di casse e microfoni. Un vero e proprio Pranzo Oltranzista di Pattoniana memoria.

Due video esemplificativi:

I 50 minuti totali della puntata di Music Platform, con DonPasta al Castello di Otranto:

La Parmigiana, Food Sound System e Rivoluzione

Don Pasta, considerato dal New York Times uno dei più inventivi attivisti sul cibo, collabora da svariati anni con Geo su Rai3, Corriere della Sera, Repubblica, Manifesto, Left e Treccani. Questo perché crede nella militanza pacifista, armati di forchetta da tenere “alla sinistra del piatto”, come scrive sul proprio sito. La cucina è un atto politico e la resistenza si combatte nei mercati locali e nella cucina. E un primo atto di resistenza è la melanzana alla parmigiana, rigorosamente fritta perché altrimenti si è nichilisti della cucina. La militanza che nasce da ragioni storiche e concrete, come controffensiva alla plastificazione del cibo, alla disintegrazione delle radici in cucina e all’adulterazione degli ingredienti. Un caso emblematico è l’Ilva, che, dopo aver ucciso gente, aveva anche avvelenato le cozze di Taranto.

L’opera di DonPasta – che sia il Food Sound System, il Wine Sound System, Artusi Remix, Kitchen Social Club o i suoi resoconti di viaggio – parte dall’idea che tramite la descrizione delle logiche di una ricetta tradizionale, accompagnata dalla musica adatta, si possa rinforzare lo spirito critico. E tale spirito critico porta a consumi critici, intelligenti e che arrivino a capire un territorio, un popolo, una tradizione e una idea. Ma non con un approccio meramente museale o nostalgico, ma come strumento per “apparecchiare” il nostro futuro. 

Si può fare questo discorso anche nella musica, valorizzando realtà musicali del territorio e dando loro spazi. La bellezza salverà il mondo. Sono forme di resistenza pacifica, attuate tramite la riscoperta del territorio, l’uso della musica, il preservarsi delle tradizioni, il tutto con un approccio moderno che non sia la banale pro loco. 

Tutti i diritti appartengono al sito Donpasta.it – foto di Lorenzo Cuppini

Il Food Sound System, che è diventato un libro, come indicato dalla voce dell’autore:

“è il suo progetto multimediale in cui si mescolano cucina salentina, musica, racconto popolare e immagini, per uno spettacolo a 360° tra il teatro contemporaneo, le favole di un vecchio cantastorie e le disavventure di un cuoco maldestro

Gli impegni recenti e attuali

Oltre all’attività di scrittore e dj, nell’ultimo periodo il Don si è dedicato alla regia e ai tour divulgativi in giro per l’Italia e con qualche tappa in Europa. Mentre scrivo l’articolo è a Parigi per presentare “I Villani”. Quest’ultimo è un reportage del 2018, in cui racconta la vita degli artigiani del cibo e sottolineando quanto i piccoli contadini, pescatori e allevatori siano l’architrave della cucina italiana. Questi sforzi, peraltro, sono stati premiati nel mese di novembre 2021 al Campidoglio col premio “Bandiera verde agricoltura 2021”. Su Raiplay è presente in visione integrale. Buona visione.

Il trailer de “I Villani”

Oltre a questo Daniele ha girato e scritto anche i Naviganti, il cui trailer potete vedere qui sotto.

Infine c’è Il podcast “La repubblica del soffritto”, scritto con Alice Gussoni e Sara Sartori per Audible e pubblicato lo scorso luglio. 

I veri custodi della cucina italiana sono nonnine, contadini, pastori piccoli allevatori e pescatori. DonPasta, esperto di cucina, e gran buongustaio, ha girato l’Italia per farsi raccontare la cucina popolare italiana, quella vera. Per la prima volta in audio, DonPasta svela il suo immenso archivio multimediale portandoci nelle case e nelle storie anche molto personali ed intime, dei suoi ospiti.

Il 24 dicembre 2021 su La7 è stato protagonista di “Natale con DonPasta”, trasmesso in prima serata. Qui trovate i link per poter recuperare queste succulenti visioni.

E ora passiamo all’intervista

Ma prima permettetemi di sottolineare l’assoluta disponibilità e cortesia di Daniele. Una persona con una grande empatia e onestà, che ha risposto a tutte le nostre domande nonostante i numerosi impegni. Resta da capire se fossero più numerosi gli impegni o le domande che gli abbiamo posto. Battute a parte, ha risposto subito, con grande entusiasmo e gentilezza. A conferma delle sensazioni che si hanno guardando i suoi video o leggendo i suoi post.

ExtendedPlay: Partiamo da una domanda extramusicale ma che penso ti stia a cuore. Ci parleresti del tuo progetto “I Villani”, con cui stai girando per l’Italia? In una intervista, da cui ho preso anche spunto per questo articolo, uno dei tanti passaggi che mi ha colpito faceva riferimento al fatto che le emozioni, intese come sensazioni vissute entrando in contatto con le realtà locali, sono fissate nella mente come immagini ma possono diventare dei suoni. Cosa significa?

DonPasta: La prima cosa che notai, prima ancora che gli intervistati parlassero era il mondo dei suoni che venivano suoni (SIC.). Erano molto spesso interviste in luoghi isolati, dove la natura prende infine lo spazio che dovrebbe sempre avere. Gli uccelli, le piante e gli alberi con il vento, gli echi dei lavori nei campi, le bestie, i campanelli delle pecore. Anche la cucina diventa un mondo magico di sampling. Nelle installazioni che spesso facciamo quando lavoriamo le interviste, si parte spesso proprio da questi suoni che vengono trattati e messi in musica. 


EP: La musica e la cucina sono due linguaggi universali?

DP: Quando nacque DonPasta, non ci stetti molto a pensare. In fondo per me erano sempre stati assieme. Quando tornavo da scuola, prima si mangiava le cose eccezionali di mamma e nonna e poi mi chiudevo in stanzetta a fare overdose di vinili. Nelle feste tra amici, in cui sperimentavamo i primi dj set in una Salento anni ottanta molto diversa da come si conosce ora, c’era sempre prima e durante da mangiare. Poi, più grande, c’è il momento del cucinare, in cui ci si gode l’arrivo degli ospiti con una selezione che ti metta il buonumore. Poi è diventato un live, e capii che in effetti il cucinare per qualcuno e il mettere musica per qualcuno ha un che di rituale, perché sono cose essenziali per l’animo degli esseri umani. 


EP: Ci potresti spiegare come è nato il Food Sound System e in cosa consiste?

DP: È nato in feste tra amici. Come dicevo non era un concetto nato separatamente dalla mia normale idea di fare la festa. Anche quando organizzavo delle feste giganti a Roma nei centri sociali con i miei compari salentini, la parte del cibo era fondamentale. Poi l’ho sviluppato piano piano, affinandolo sempre di più. Intanto Food sound system è un libro, in cui associo cucina e musica. Poi è una performance teoricamente molto semplice. Su un grosso tavolo ho due piastre a induzione e due piatti technics. Faccio le tagliatelle fatte in casa, i ravioli, le orecchiette, cucino dei sughetti semplici e saporiti, ma scegliendo i miei vinili preferiti. L’idea, opposto all’attitudine attuale, non è quella di mostrare prodigi tecnici in cucina o nel missaggio della musica, ma mostrare quanto siano gesti possibili per chiunque. Per profittare meglio del piacere del cucinare.


EP: Quali sono gli artisti o i generi che ti hanno influenzato maggiormente?

DP: Che domanda difficile. Il punk, sicuramente, con la lezione politica, meticcia dei Clash in particolare. Poi il raggamuffin dei Sud sound System, che furono dei liberatori di energie in terre che erano abbandonate. La riappropriazione del dialetto, dei canti tradizionali, portati nel nuovo millennio. L’orgoglio di essere terroni, portatori di pratiche secolari. Ogni salentino è cambiato grazie a loro. Poi il free jazz di Coltrane e Pharoah Sanders, selvaggio, brutale e sacro allo stesso tempo. Ma mi piace qualsiasi genere musicale, dal dark all’hip hop, dall’elettronica al funk.

Promises, disco uscito nel marzo 2021 e nato da una collaborazione tra Floating Points, Pharoah Sanders and the London Symphony Orchestra è un lavoro che consigliamo e che riscosso un successo notevolissimo di pubblico e critica (Paste, Mojo e Time, ad esempio, lo hanno scelto come disco dell’anno, Pitchfork e Fantano lo hanno incensato con un 9/10 definendolo capolavoro)

EP: La musica mainstream pompata, della peggiore specie, è il fastfood del suono?

DP: Quello che manca a mio avviso sono le scene musicali, portatrici di pensieri collettivi dirompenti, come le posse italiane degli anni ’90, come il punk degli anni ’70, il primo hip hop americano, il grunge. La musica da un lato era innovativa, ma era figlia di una pratica collettiva di riappropriazione di spazi e pensieri nuovi. Il mainstream c’è sempre stato, ma manca l’energia meravigliosa e contagiosa che porta una generazione nuova a cambiare i suoi pensieri.


EP: Esiste in qualche modo una rinascita della nuova world music, che si è affrancata dall’idea che sia new age o musica da villaggio turistico, tra folk e sonorità banalizzate. Invece attualmente ci sono esponenti (Bonobo, Cemento Atlantico, etc.) che la stanno rendendo più seducente ed hanno creato un nuovo appeal. Nei tuoi dj set c’è sempre una ottima selezione musicale. Ci potresti consigliare qualche disco o artista, in ambito elettronico e non, che rappresenta per te un must irrinunciabile nelle tue esibizioni o che sia imprescindibile per una buona playlist?

DP: Purtroppo sono ormai preso dai documentari e confesso di seguire meno la scena musicale. Il mio fratello di sangue Andrea Mi, con la sua piattaforma Mixology, mi portava sempre a scoprire cose nuove. Stiamo provando a conservare il suo lascito continuando le uscite che vi invito a seguire. Cose che mi piacciono in elettronica, più o meno recenti: Nils Frahm, Four Tet, Pantha du Prince, Jon Hopkins

“Jon Hopkins – Open Eye Signal“A skateboarding odyssey in the desert, tratta dal disco Immunity (2018, Domino Records)

EP: Per i tuoi showcooking prepari dei brani che siano in linea con un menù oppure sono due attività parallele? Ma soprattutto non è difficile impastare e poi usare un giradischi? 

DP: Tecnicamente non è proprio agevole. Ci ho messo un po’ di tempo a essere veramente fluido nei movimenti. Agli inizi, agli inizi del 2000, venti anni fa, ahimè, ero molto incasinato e molti vinili hanno sofferto pesantemente. Ogni passaggio tecnico ha un suo mood. Il preparare gli ingredienti all’inizio, con il tagliarli finemente è cosa molto ritmata, tra il be-bop e il funk. Poi il soffritto è decisamente più rock’n’roll e garage. Quando impasto e stendo la pasta c’è un momento di grande calma, tra ambient e deep house. E poi c’è la festa del mangiare, con il reggae!


EP: A una persona ossessiva compulsiva e fissata con la pulizia, quando/se ti vede toccare i vinili con le mani infarinate, non gli prende una sincope? 

DP: C’è gente che mi maledice. Confesso di avere negli anni rovinato molti dischi e ora ne soffro un po’. Ma per lo spettacolo serviva coinvolgere esagerando i movimenti. Mi regalo un budget apposito per il riacquisto delle copie che rovino.

EP: La condivisione del cibo e la creazione di un menu si possono considerare come l’equivalente della creazione di una playlist e la condivisione di un disco o di un brano? Noi abbiamo scritto un articolo sul tema e ci ricordiamo l’attenzione nella scelta dei brani.

DP: Ero un malato di compilation sulle tdk. Che momento bellissimo del condividere le cose che ami. Poi anche con i cd mi piaceva fare compilation a tema. Confesso che le playlist sul computer mi entusiasmano meno. Però nel mio pc ci sono divisioni nitide tra generi, sottogeneri e situazioni in cui ascoltare le diverse musiche che amo. 


EP: Il timore di educare all’alimentazione va di pari passo con le difficoltà di educare all’ascolto? È più facile entusiasmare il palato o l’orecchio?

DP: Il cibo è chiaramente la cosa più naturale al mondo. Mangiamo tre volte al giorno e se riesci a far mangiare bene un bambino, mostrando il tempo, l’amore e l’attenzione che c’è dietro forse stai risparmiando danni alla salute e al pianeta. L’educazione musicale passa a mio avviso da un vero slancio di passione. È un’esperienza conoscitiva per certi versi molto solitaria. Ho spulciato migliaia di vinili nelle case di cugini più grandi e di amici. 


EP: Domanda banale: quali sono i dischi o le canzoni che preferisci a tema cibo?

DP: Non mi è mai veramente interessato che le cose si legassero in modo didascalico. C’è il testo di questa grandiosa canzone, che parla dei ricordi di lui piccolo, che amo: Do you feel it? di Joe Cuba. Poi Un gelato al limon di Paolo Conte e poi James Brown faceva sempre titoli con la parola food di mezzo.

Joe Cuba, pseudonimo di Gilberto Miguel Calderón Cardona, detto anche Sonny (New York, 22 aprile 1931 – New York, 15 febbraio 2009), è stato un musicista, suonatore di conga e bandleader statunitense, di discendenza portoricana considerato senz’altro come il “Padre del boogaloo latino”.

EP: Uno dei tuoi motti è “nel dubbio aggiungi olio”. Che cosa rappresenta l’olio, in musica, per Don Pasta? E soprattutto perché Coltrane l’hai accostato alla Pasta Aglio, Olio e Peperoncino?

DP: Coltrane inizialmente l’ho accostato alla parmigiana, perché era stratificato, ricco e ancestrale, come la parmigiana di mia nonna. Allo stesso tempo un disco come A Love Supreme è scarno, sacro, essenziale, come la pasta aglio, olio e peperoncino. Solo i grandi possono permettersi di fare capolavori con niente.


EP: Gli chef in televisione sono le nuove rockstar? Anche a giudicare dal successo di alcuni programmi televisivi come Masterchef. Secondo te hanno dato un contributo importante per la divulgazione del cibo oppure la loro visione della cucina e del mondo potrebbe risultare distorta o artificiosa?

DP: A mio avviso la moda degli chef è una bolla che spero che finisca il prima possibile. Perché è deleteria verso la loro categoria, rinchiusa in stereotipi molto banali di esasperazioni tecniche e edonismo estetico che cancellano i sacrifici, la ricerca, la fatica immane, il lavoro di squadra che è invece una cosa che si esplora ben poco. Culturalmente se da un lato appassiona molto i ragazzi, dandogli magari la speranza di un lavoro che gli piaccia, dall’altro cancella completamente il substrato popolare che è all’origine della cucina italiana. La cucina è sempre stata democratica, perché semplice, veloce, accessibile. Facendo credere il contrario cancelli l’origine stessa del senso del cibo come condivisione e cultura. 


EP: Ti lascio la possibilità di chiudere l’articolo, dandoti carta bianca per dire quello che vuoi. E ti ringraziamo per aver chiacchierato con noi

DP: Credo che la ricerca e la conoscenza siano la chiave per liberarsi. Bisogna essere curiosi, senza barriere, liberi e indipendenti nel giudizio. Da giornalista, faccio un augurio a voi, e vi dico che bisogna essere onesti e disinteressati, raccontare delle proprie passioni e innamoramenti. Fare un giornalismo che non segua gli uffici stampa ma le urgenze del dire, pensare, ascoltare per il proprio bene intimo. Solo così si può trasmettere a chi legge il desiderio di fare altrettanto.

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