«Privare la magia del suo mistero sarebbe assurdo come togliere il suono alla musica»
Frase attribuita a Orson Welles (Alexander Adrion, “L’arte della magia”, Mazzotta Editore, 1979 – Fonte originale sconosciuta)
Potremmo partire da questa frase per sostenere che non ci sia cosa al Mondo priva di un certo alone di magia. Che sia semplicemente suggestione o vero e proprio incanto, è innegabile che le azioni e i pensieri degli uomini siano da sempre accompagnati da una dimensione ignota e irrazionale, da forme sconosciute e simbologie nascoste. La musica non è immune a questo. Dalla classica al rock, essa è stata sempre oggetto di analisi esoteriche e simboliche.
Basti pensare agli studi di Pitagora sui suoni armonici e sulla cosmologia, che ad oggi costituiscono uno dei campi più fecondi per la ricerca esoterica. Secondo Pitagora infatti nel numero sta l’essenza dell’Universo, e a lui è attribuita la prima intuizione dell’esistenza di rapporti numerici tra le frequenze: il Sole, la Luna e i pianeti del sistema solare per effetto dei loro movimenti di rotazione e rivoluzione produrrebbero un suono continuo, impercettibile dall’orecchio umano, e tutti insieme produrrebbero un’armonia. Inoltre, come racconta David Byrne nel paragrafo intitolato “La musica delle sfere” (tratto dal suo libro “Come funziona la musica”), Pitagora presupponeva una ragione divina alla base della tendenza nel trovare certe armonie e certi intervalli più piacevoli di altri. Il filosofo osservò che dietro le note c’erano corrispondenze matematiche, un fenomeno di cui si accorse per la prima volta passando davanti a un fabbro, quando notò che i colpi dei vari martelli seguivano intervalli musicali comuni: le proporzioni tra i vari pesi dei martelli (uno da 6 kg e uno da 3) producevano colpi separati da un’ottava.
Proviamo dunque a vederci chiaro, per quanto possibile, e a svelare come, nel corso degli anni, anche il suono ha attraversato le strade impervie dell’ignoto, in cerca dell’armonia perfetta.
La via esoterica nella musica classica
Uno degli esponenti vicino alla corrente massonica fu sicuramente Mozart. La Massoneria è un’associazione su base iniziatica e di fratellanza, diffusa in molti Stati del mondo, le cui origini sono da rintracciarsi in epoca moderna in Europa, in Inghilterra, precisamente a Londra nel 1717. Il suo nome deriva dalle Corporazioni di liberi muratori medievali. Per edificare le grandi costruzioni si dovevano lavorare ‘massi’, blocchi di pietra: da ‘masso’ deriva Massone. Essa è una “disciplina esoterica”, nel senso che alcuni aspetti della sua attività interna non sono di dominio pubblico, ma coperti da riservatezza o assolutamente segreti. È proprio attraverso l’uso dei simboli del mestiere (come la squadra e il compasso – il primo rappresenta la materia e il secondo lo spirito o la mente) e diverse forme di ritualità ben definite che il carattere occulto della società prende forma.
Wolfgang Amadeus Mozart entrò ufficialmente nella Massoneria il 14 dicembre del 1784, nella loggia “Zur Wohltätigkeit” (Alla Beneficenza) il cui fondatore e Maestro era il barone Otto von Gemmingen, ciambellano di corte e consigliere privato della Corona. Fu lui, con ogni probabilità, il promotore dell’ingresso del musicista nell’Ordine. L’opera che maggiormente rispecchia i canoni del pensiero massonico è sicuramente Il Flauto Magico. Composta nel 1791 essa mescola elementi epici, sacri ed esoterici, credenze e superstizioni del popolo austriaco, restituendo una favola buffa e drammatica, dal forte potere iniziatico e carica di simbolismo massonico: primo fra tutti il numero 3.
Ritenuto “perfetto”, sacro per la Massoneria, è la cifra più ricorrente all’interno dell’opera. Sul versante musicale il numero ricorre nelle note del triplice accordo dell’ouverture, ripetute all’inizio del secondo atto e al momento dell’iniziazione di Tamino. La tonalità di Mi bemolle maggiore (o Do minore) si presenta con tre bemolli in chiave, inoltre i movimenti ternari sono preferiti a quelli di ritmo pari (4/4, 2/4).
Dal punto di vista prettamente rappresentativo: tre sono le Damigelle, tre i Geni, tre i Sacerdoti, tre gli Schiavi, tre le porte del Tempio, tre le prove del silenzio, dell’acqua e del fuoco. Altro elemento prettamente massonico sono le contrapposizioni di due poli opposti, come il bene e il male, gli elementi di luce e ombra, fuoco e acqua.
«La musica è una matematica misteriosa i cui elementi partecipano all’infinito»
Claude Debussy
Con questa frase Debussy evidenziava al meglio le funzioni magico-esoteriche della musica. Egli fu uno dei maggiori frequentatori della Parigi esoterica della seconda metà dell’Ottocento. Proprio nei salotti parigini come lo “Chat noir” si avvicina all’anti-realismo caro ai simbolisti Baudelaire, Mallarmé e Verlaine. Il poema sinfonico Il Prélude à l’après-midi d’un faune (Preludio al pomeriggio di un fauno) scritto fra il 1891 e il 1894 e ispirato a Il pomeriggio di un fauno di Mallarmé, rappresenta questa visione basata sull’estetica simbolista con tutto il carico di suggestione e sogno. Nell’opera Pelléas et Mélisande, sempre di Debussy e tratta dall’omonimo dramma simbolista di Maeterlinck del 1892, l’influsso del simbolismo è ancora più evidente attraverso l’assenza di realtà, il senso del mistero, gli accenni musicali che inglobano suggestioni occulte e misteriose, che valicano il tempo oltrepassandolo.
Anche le opere di Richard Wagner sono legate alla corrente del simbolismo. Il suo Parsifal, realizzato nel 1877 è un lungo cammino esoterico alla ricerca del Sacro Graal arturiano. In esso il dramma musicale prende vita tra numerose allusioni, facenti parte della memoria archetipa, e simbologie religiose. Parsifal è colui che incarna due doni divini: l’innocenza del cuore e la semplicità dello spirito. È l’unico capace di ricondurre l’uomo sulla via della salvezza.
Bach infine seguiva la sua via “esoterica” cavalcando l’onda della numerologia, della crittografia, della geometria. Il nome Bach, tradotto in cifre secondo il metodo ghematrico d’origine cabalistica, dà per risultato 14. Per coloro che non ne fossero a conoscenza: la ghematria (o gematria) è una disciplina teologica dell’ebraismo che studia le parole scritte in lingua ebraica e assegna loro valori numerici. È uno dei metodi utilizzati nella Cabala, l’insieme degli insegnamenti esoterici ebraici, che mira a definire i segreti dell’universo e dell’essere umano, la natura e lo scopo dell’esistenza.
Nella produzione di Bach: di quattordici note è il tema della sua prima fuga. Quattordici sono i canoni autografi vergati in calce a uno dei suoi capolavori, le Variazioni Goldberg, architettura d’impianto simmetrico le cui singole parti seguono un’intenzionale geometria costruttiva. E sulle note si bemolle, la, do, si (B A C H secondo la nomenclatura tedesca) si interrompe incompiuta la sua ultima opera, L’arte della fuga.
L’etnomusicologia: Il mistero della tradizione
Un discorso a parte va fatto per l’etnomusicologia, un campo di studi relativamente recente (indicato con tale nome solo nel 1950) ma ormai ben definito, presente come insegnamento in molte università e con una figura, quella dell’etnomusicologo, che ha avuto e continua ad avere un ruolo importantissimo nella comprensione delle forme e dei comportamenti musicali di tradizione orale. In questo contesto l’anima magica si fonde al ricordo del tempo, alla voglia di riscoprire universi nascosti e lontani. L’etnomusicologia infatti ingloba la musica alla storia e al folklore dei popoli. È ricordo del tempo che, come magia e incanto perduti, mira a scoprire diverse categorie sonore, studiate e utilizzate come veicolo di comunicazione e scambio per la comprensione tra i popoli. Essa mescola infatti le memorie del passato, la trasmissione del pensiero al suono, al ritmo, al gesto mimico e onomatopeico, per svelare determinate caratteristiche rituali e particolari scopi specifici all’interno delle tradizioni.
È una branca della musicologia, e in un certo senso anche dell’etnologia, che si occupa non soltanto della musica in quanto suono, ma anche dei comportamenti necessari a produrla, studiando le tradizioni musicali orali di tutti i popoli del mondo. È proprio attraverso gli studi di etno-antropologia e di etnomusicologia che si è riuscito a comprendere fino in fondo l’importanza della musica stessa nei rituali iniziatici dei popoli indigeni.
L’etnomusicologia nacque alla fine dell’Ottocento, in Germania, col nome di musicologia comparata. I primi esponenti della materia furono Béla Bartók, Constantin Brăiloiu, Diego Carpitella e Alberto Favara. In Italia le ricerche sulla musica e sul canto popolare iniziarono molto tardi, verso il 1948, con la fondazione del centro nazionale di studi di musica popolare. Nel nostro Paese fu proprio Diego Carpitella, assieme a Ernesto De Martino, a dare voce a numerosi aspetti della cultura musicale popolare italiana. Dall’inizio degli anni Cinquanta, Carpitella prese parte, con un’équipe interdisciplinare guidata da De Martino, alle ricerche sul pianto rituale in Lucania e sul tarantismo nel Salento, raccogliendo numerosi documenti sonori e visivi, veri e propri materiali inediti per gli studi del tempo.
Ed è proprio grazie a queste ricerche che, ad esempio, nel tarantismo si darà grande rilevanza alla musica quale primo marcatore simbolico nella cura del morso della taranta, ragno velenoso che, secondo l’opinione locale, con il suo pizzico provocava stati confusionali, agitazione, parossismo e torpore. Il rituale religioso di guarigione prevedeva infatti l’intervento di un’orchestra locale composta da chitarrista, violinista e tamburellista.
Lo stesso De Martino scriverà: «La musica domina tutto l’arco simbolico del tarantismo in azione. Con la musica si inaugura il rito terapeutico vero e proprio.» Sarà invece la voce, il pianto antico e collettivo, a rappresentare la forma più estrema di espiazione del dolore nelle lamentazioni funebri lucane. Il rito del cordoglio vive di quello che De Martino ha definito come la “crisi della presenza”, dove con ‘presenza’ si intende la capacità dell’uomo di superare un evento tragico, come può essere la scomparsa di una persona cara, e di sopravvivere a questo dolore. È attraverso il pianto rituale che l’uomo può riuscire a superare la crisi e a metabolizzare la perdita.
Carpitella poi si occupò, tra il 1953 e il 1954, anche della raccolta di materiali musicali in varie regioni italiane, assieme all’etnomusicologo statunitense Alan Lomax. A quest’ultimo infine si devono le indagini, realizzate insieme al padre, fra il 1933 e il 1942, nel sud degli Stati Uniti, per documentare, con registrazioni sul campo, la cultura musicale degli abitanti delle regioni meridionali e in particolare dei discendenti degli schiavi deportati dall’Africa. Assieme a Woody Guthrie documenterà le forme musicali e i canti dei neri detenuti nelle prigioni statunitensi e nel 1946 realizzerà una serie di incisioni e di interviste con Memphis Slim, Big Bill Broonzy e Sonny Boy Williamson che, raccolte sotto il titolo “Blues in the Mississippi Night”, costituiscono testimonianze di eccezionale rilevanza sulla storia della musica americana.
L’esoterismo nel rock
Continuiamo questo viaggio andando a scoprire come le strade dell’occulto abbiano influenzato molti musicisti del mondo del rock. Non si può procedere senza menzionare per prima una delle figure cardine del nostro discorso, che ha influenzato molti gruppi rock negli anni, l’enigmatico e controverso mago Aleister Crowley, considerato il fondatore del moderno occultismo e una figura chiave nella storia dei nuovi movimenti magici.
Tra i musicisti affascinati da Crowley ci sono, tra gli altri:
- i Beatles, che inseriscono la sua immagine tra i personaggi della cover del loro concept album “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”;
- David Bowie, che nella canzone Quicksand, contenuta in “Hunky Dory” (1971), dice: «I’m closer to the Golden Dawn,
immersed in Crowley’s uniform of imagery»;
- sul retro della copertina del loro album “13” (1970) i Doors sono fotografati attorno ad un busto in miniatura di Crowley;
- i Ministry parlano di Crowley nel testo del brano Golden Dawn, contenuto in “The Land of Rape and Honey” (1988), inserendo anche la sua voce;
- i Current 93, il cui leader David Tibet è un ex membro dell’Ordo Templi Orientis (OTO), un’organizzazione religiosa iniziatica internazionale fondata tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, prendono il nome da un termine mistico che si riferisce alla dottrina thélemica, (i cui precetti fondamentali sono “Fai ciò che vuoi sarà tutta la legge” e “Amore è la legge, amore sotto la volontà”) promulgata da Crowley stesso. Tibet si è ampiamente ispirato agli scritti e alle opere di Crowley e ha inoltre scritto un articolo sulla sua influenza nella musica contemporanea per la rivista Flexipop;
- Ozzy Osbourne, nel suo “Blizzard of Ozz” (1980) ha incluso la canzone Mr. Crowley;
- i Manic Street Preachers hanno incluso il volto di Crowley nel video del brano You Love Us.
Anche Jimmy Page è un grandissimo ammiratore dell’opera di Aleister Crowley: possiede alcuni dei suoi manoscritti originali, ma anche le sue tuniche, i suoi cappelli, i suoi bastoni e i suoi Tarocchi. Nel 1975, Page acquistò persino una libreria specializzata in occultismo che chiamò Equinox come il diario magico di Crowley.
Il batterista dei Tool, Danny Carey è da sempre affascinato dal mondo esoterico, nonché dalla figura di Crowley stesso. Il padre di Carey era un Maestro Massone che incanalò il figlio verso il mondo dell’occultismo già in tenera età. Il batterista, inoltre, è un grande appassionato della vita e del lavoro di John Dee, mago di corte della Regina Elisabetta, famoso per la sua comunicazione angelica. Faaip De Oiad, contenuto nell’album “Lateralus” (2001), è il brano che Carey ha scritto per rendere omaggio all’opera di Dee.
Andando a scovare ulteriori visioni esoteriche tra le maglie del rock c’è “IV” (1971) dei Led Zeppelin, che sul retro di copertina ha una riproduzione dell’Eremita dei Tarocchi. L’Eremita appare anche nel film-documentario del 1976 “The Song Remains the Same”, dove è proprio Jimmy Page a impersonare questa figura misteriosa e ieratica.
I Black Sabbath faranno poi del loro rapporto con l’esoterismo uno stile di vita già a partire dal loro esordio discografico, con la strega che campeggia in copertina e brani quali The Wizard.

I Doors si avvicineranno invece a una prospettiva edulcorata dell’animismo sciamanico, con testi popolati da scenari provenienti dall’esoterismo, dalla cultura classica e tribale. Fu proprio Jim Morrison poi a sposare con un matrimonio Wicca (una sorta di religione di tipo misterico legata al neopaganesimo), la giornalista Patricia Kennealy. Anche i Pink Floyd in Chapter 24 nascondono visioni che volgono lo sguardo a Oriente. Il brano, proveniente dal loro primo album “The Piper at the Gates Of Dawn” (1967), si ispira al libro cinese dell’I Ching (il “Libro dei Mutamenti”), un antico trattato di cosmologia e filosofia cinese. Concetti come il continuo bilanciamento degli opposti e l’inevitabilità dei cambiamenti vengono espressi per la prima volta in quest’opera, che molti studiosi fanno risalire addirittura al 2000 a.C. ll testo della canzone è stato scritto da Syd Barrett e fa riferimento, come dice il titolo stesso, all’esagramma n° 24 dell’I Ching, denominato Fû (“Il Ritorno” in cinese).
Grande attenzione da parte dei musicisti è anche la fascinazione verso visioni legate all’etnomusicologia e all’antropologia. Un esempio su tutti è il documentario di David Byrne dei Talking Heads “Ile Aiye (The House Of Life)” incentrato sulla religione Candomblé Nago del Brasile, che ha debuttato come programma di apertura della serie televisiva della PBS “Alive From Off Center”. Il film, esplora i rituali di danza/musica yoruba dei brasiliani. In tempi più recenti sono forse gli svedesi Goat, un collettivo originario di un piccolo paese svedese, a conservare un alone di magia e mistero, a partire dalle maschere e dai vestiti folkloristici, incarnando alla perfezione, tra le maglie della psichedelia, un mondo antico fatto di magia, riti voodoo ed esoterismo.
L’Italia mistica
Spostandoci in Italia: Fabrizio De André era un grande appassionato di astrologia e di esoterismo, al punto da voler fare il “quadro astrale” ai suoi musicisti e collaboratori e prima di ogni concerto leggeva sempre i tarocchi. Nel tour “Mi innamoravo di tutto” (1° novembre 1997 – 1° maggio 1998) le scenografie erano infatti composte proprio da Arcani Maggiori: Il Bagatto – La Ruota della Fortuna – Il Giudizio – L’Eremita (alternato alla Morte) – Il Carro – Il Sole – La Luna – Le Stelle.
«Voglio vederti danzare
Come le zingare del deserto
Con candelabri in testa
O come le balinesi nei giorni di festaVoglio vederti danzare
Come i dervishes turners che girano
Sulle spine dorsali
O al suono di cavigliere del Katakali»
cantava invece Franco Battiato in Voglio vederti danzare.
La sua musica, intrisa di spiritualità, spesso si lega alle filosofie misteriche, come quelle dei sufi, ovvero coloro che praticano il sufismo, dottrina e disciplina di perfezionamento spirituale dell’Islam. Uno dei suoi grandi ispiratori è stato, tra gli altri, il filosofo, mistico e musicista armeno Georges Ivanovič Gurdjieff, che nelle sue teorie si appropriava del concetto di musica come metafora dei significati celati dell’universo. L’album “L’arca di Noè” (1982) è il primo chiaro segno dell’influenza su Battiato della musica dei dervisci, i monaci mendicanti e asceti islamici. Alcuni di essi compiono la danza roteante, molto vicina nell’approccio al teatro danza indiano del Kathakali, in cui musica, voce e movimenti si fondono in un’unica vibrazione, al fine di divenire parte del tutto, allontanandosi dalle cose terrene per raggiungere la divinità. Un importante documento è altresì il suo documentario “Attraversando il bardo – Sguardi sull’Aldilà“, che esplora il concetto di immortalità dell’anima attraverso le parole di asceti, monaci e filosofi. Il Bardo del titolo è “Bardo Thodol”, il testo più noto della letteratura tibetana che descrive proprio l’intervallo dell’anima cosciente tra la morte e la rinascita. “L’Era del cinghiale bianco” (1979) mostra invece l’influsso di un altro maestro iniziatico, René Guénon.
Vinicio Capossela poi ha da sempre avuto un particolare occhio di riguardo sul folklore e sulle tradizioni popolari come ad esempio nel disco “Canzoni della Cupa” (2016) o nel brano Il Ballo di San Vito dove esprime in musica la sua personale visione del tarantismo:
«Vecchi e giovani pizzicati, vecchi e giovani pizzicati
Dalla taranta, dalla taranta, dalla tarantolata»
Italian Occult Psychedelia
Non possiamo concludere questa incursione magica nella musica senza parlare dell’Italian Occult Psychedelia, nata negli anni 2000. Il merito di aver coniato questo termine va dato al giornalista Antonio Ciarletta che ne parlò nel gennaio 2012 in un articolo della rivista musicale Blow Up (#164). Persino Simon Reynolds, ha trattato l’argomento, definendola come l’equivalente italiano della scena britannica hauntology, perché essa mira a rievocare l’estetica del passato, riattivando in un certo senso una sorta di memoria collettiva.
Il retroterra attraverso il quale l’Italian Occult Psychedelia prende forma è quello dei film di genere italiani, dei B movie, dei Cannibal movie, delle visioni di Lucio Fulci e Mario Bava mescolati al folklore misterico dei saggi di Ernesto De Martino, mentre tra le note sembrano prendere vita personaggi felliniani e pasoliniani.
Fra i nomi della psichedelia occulta italiana ci sono gli Heroin in Thaiti, i Father Murphy, i Thalassa, i Mamuthones, La Piramide di Sangue, Squadra Omega, Cannibal Movie, Donato Epiro, Metzengerstein, Al Doum & The Faryds, Mai Mai Mai, GustoForte e Spettro Family. L’etichetta di punta del genere è la Boring Machines. Dal 2013, si tiene infine a Roma il Thalassa Festival, interamente dedicato a gruppi musicali dell’ Occult Psychedelia.
Ma di questo ce ne occuperemo più approfonditamente in un prossimo articolo.
Conclusioni
Abbiamo provato, in maniera empirica, a tracciare un percorso storico-teorico in grado di legare la musica alle visioni esoteriche e alle allucinazioni antropologiche e della etnomusicologia, cercando di allontanarci il più possibile dalla pura dimensione mitica e immaginifica della materia. Non sappiamo se siamo riusciti nell’intento e, sicuramente, qualcosa o qualcuno ci sarà sfuggito, ma in fondo la musica, così come la magia, sono spesso inafferrabili.
Articolo stupendo da leggere e rileggere. Complimenti!
Grazie mille!