Più o meno tutti conoscono il concetto di fanzine: una sorta di mini-rivista dal costo contenuto (se non addirittura gratuita), di argomento specifico, pubblicata in modo indipendente e a bassa tiratura. Ma è difficile mettere dei paletti su cosa sia una fanzine perché la libertà espressiva supera ogni definizione.
Non stiamo a spiegare nascita e sviluppo del mondo fanzine né abbiamo gli strumenti per farne una disamina storica accurata (a fine articolo però troverete una breve bibliografia). Vogliamo almeno citarne l’origine: il nome nasce negli anni ‘40 negli Usa, e deriva da fan + magazine, ma le fanzine nascono un decennio prima nell’ambito della fantascienza, dalla necessità degli appassionati di avere un canale di discussione e di comunicazione al di fuori del circuito ufficiale. La fanzine quindi è creata dal basso ed è capace di generare una comunità.
Da questo punto di partenza il fenomeno si è espanso abbracciando numerosi argomenti e sottoculture, tra cui, ovviamente la musica.
L’enorme esplosione delle fanzine punk e dell’estetica cut & paste (dovuta ad una reale necessità), ad esempio, è stata una cassa di risonanza indispensabile per entrambi gli aspetti del fenomeno (quello dell’autoproduzione e quello della musica punk stessa). Sono gli anni ‘70 e nascono pubblicazioni underground legate alla prima scena punk di New York, Londra e Los Angeles: doveroso citare “Sniffin’ Glue” (nata a Londra nel 1976 e attiva fino all’anno seguente) e “Ripped & Torn” (nata a Glasgow nel 1976 e esistente fino al 1979).
Un’altra onda importante è riconducibile alla nascita e all’esplosione della scena riot grrrl di Olympia degli anni ‘90. Non si sta parlando solo di una scena musicale ma di un reale e indispensabile movimento politico che professava l’importanza che le donne siano impegnate attivamente nella produzione culturale, in modo creativo, originale, femminista e anti-razzista. Secondo questo articolo:
«Nel 1993, solo in Nord America venivano pubblicate circa 40.000 fanzine, molte delle quali dedicate alla musica e alla politica del movimento riot grrrl.»
Chloe Arnold
Impossibile non citare “Bikini Kill” (fondata dalle musiciste dell’omonimo gruppo) e “Riot Grrrl” (fondata da Molly Neuman delle Bratmobile). In questo articolo del Guardian intitolato “The art and politics of riot grrrl – in pictures” Olivia Laing raccoglie alcune sue immagini preferite.
Quello che ci interessa sottolineare qui è come il fenomeno zine (e in generale la microeditoria indipendente ed alternativa) sia legato allo sviluppo di un sistema di connessioni, una rete comunitaria basata su interessi comuni, soprattutto per rispondere al proprio bisogno fondante, quello di una condivisione autentica e indipendente. Le fanzine non sono prodotti fini a se stessi, autocelebrativi, unidirezionali, ma una porta aperta verso l’esterno, democratica e alla portata di tutti (addetti ai lavori, appassionati, neofiti o semplici curiosi), in cui la collaborazione e la partecipazione sono fortemente incoraggiate.
È un mondo variegato, sia per i temi, sia per i formati, sia per estetica, materiali e tecnologie di stampa. È caratterizzato anche da un labile confine a livello editoriale: pubblicazioni semi ufficiali, free press, fanzine vere e proprie: dove sta il distinguo? Cosa è una fanzine e cosa no? Probabilmente nell’attitudine Do-It-Yourself + self publishing, o almeno personalmente io tiro la riga lì.
Come scrive Luca Frazzi in “Sniffando Colla – Fanzine Musicali Italiane” (Supplemento al numero di gennaio 2022 di Rumore):
«Ho sempre voluto scrivere della musica che amavo, fin da ragazzino, e la più grande soddisfazione era sapere che qualcuno mi avrebbe letto. L’unico mezzo alla mia portata affinché questo potesse accadere? Una fanzine. E allora sotto: Olivetti Lettera 25, forbici, colla, una fotocopiatrice (oscuro oggetto del desiderio) e il sogno prendeva forma.»
Da parte mia, entrare in contatto con le fanzine durante gli anni di formazione musicale è stato importantissimo: mi si sono aperte davanti infinite possibilità, informazioni allora inaccessibili, situazioni sconosciute, gruppi, scene, movimenti di cui ignoravo l’esistenza. E la conferma che esistevano tantissime persone, mosse da estrema passione, che sentivano come un bisogno vitale diffondere idee, comunicare, far conoscere. Era la modalità comunicativa che mi ha affascinato, lontanissima dalla rigidità dell’editoria musicale classica e mettendone in discussione lo status quo: quelle righe stampate male raccontavano con passione cosa c’era dentro quel disco e mi facevano capire l’importanza di sentirlo, una cosa lontanissima dai noiosi e tutti uguali redazionali, spesso più simili a marchette o a una breve raccolta di informazioni biografiche banali che una recensione vera e propria (e sì, purtroppo accade ancora oggi).
Negli anni, mentre i fandom e le discussioni si spostavano in massa sul web, il formato fisico delle fanzine ha continuato ad affascinarmi, da quelle più artigianali, a quelle più curate e sperimentali dal punto di vista dell’impostazione grafica, delle tecniche di stampa e dei materiali: piccoli gioielli che ci si scambiava ai concerti e ai banchetti, nella dimensione dell’incontro.
Ma torniamo a noi: le fanzine hanno certamente un passato glorioso, ma l’aspetto fondamentale è che si tratta di un mondo vivo ancora oggi, attuale, contaminato, anticonvenzionale, capace di reinventarsi ed evolversi: oramai le pubblicazioni abbracciano una vastità incredibile di argomenti, di formati, di forme espressive. In tutto ciò la fanzine continua ad essere uno specchio dei tempi, un simbolo di urgenza comunicativa legata alla condivisione e contemporaneamente un fenomeno libero, slegato dalle regole editoriali e quelle commerciali.
Come dice Valeria Foschetti (a lei ci arriviamo tra poco) in questa intervista:
«Parliamo di qualcosa che sottostà a un’esigenza di espressione e che spesso si è diffusa in modo talmente caotico da far perdere le tracce della propria origine (autore), ma che, allo stesso modo, deve rispettare questioni di copyright da cui non può prescindere. Parliamo di un’autopubblicazione che nasce dalla volontà libera di espressione e diffusione, ma che chiede di essere categorizzata e istituzionalizzata per un suo valore decisamente e indiscutibilmente estetico; ancora, è una pubblicazione aperta potenzialmente al più vasto pubblico, ma di affezionatissimi; qualcosa che riesce a organizzarsi in una dinamica di serialità e autorialità, nonostante la propria casualità originale. Tutte cose che di sicuro non allontanano, anzi affascinano, i non addetti ai lavori, perché addetti ai lavori, anche se in pochi la conoscono, non ce ne sono per statuto: tutti potrebbero farla, tutti potrebbero leggerla. Nessuno giudicarla.»
All’estero questa tipologia di editoria indipendente è un fenomeno enorme, consolidato e studiato: ci sono archivi e raccolte che trattano l’argomento, interessanti e creativamente stimolanti. Non è un caso che, visitando la Vancouver Public Library qualche anno fa (sì, amo visitare le biblioteche quando sono in vacanza all’estero), mi sia imbattuto nella loro sezione dedicata alle zine.
Ci piace essere chiari e lo diciamo ancora una volta: le fanzine sono un importantissimo e insostituibile mezzo culturale (in qualunque formato esse nascano). E, come tali, necessitano di essere preservate, trasmesse, fatte conoscere. Dev’essere divulgata non solo la fanzine stessa ma l’idea e i valori dietro alla microeditoria indipendente e fare in modo che questo mondo continui ad essere presente, vivo e in continua evoluzione. Dopotutto ogni movimento ha le sue voci dal basso ed è importante che vengano ascoltate.
C’è un posto a Milano che ha questa missione, è la Fanzinoteca La Pipette Noir. Non è l’unico spazio simile in Italia (c’è la Fanzinoteca d’Italia – Centro Nazionale Studi Fanzine, di Forlì, ad esempio).
La Fanzinoteca La Pipette Noir nasce nel 2012 da un’idea di Valeria Foschetti (“Santa protettrice dei fanzinari italiani”, così viene definita da Francesco Ciaponi del Centro Studi Edizioni del Frisco) che ha deciso di condividere la sua personale collezione di fanzine e libri autoprodotti con il pubblico, inizialmente presso librerie ed eventi dedicati alla microeditoria e all’autoproduzione, per poi, nel 2014 fondare un’associazione culturale no profit di nome “La Pipette Noir” e, dal 2016, stabilirsi in uno spazio fisico, ovvero la Biblioteca Pubblica Zara.
La Fanzinoteca oggi conta circa 4000 pezzi, tesserarsi è gratuito (la mia tessera è la numero 199!), è aperta circa un sabato al mese, momento importantissimo di condivisione grazie all’organizzazione di incontri, mostre e laboratori, oltre alla possibilità di consultare il catalogo.

Ovviamente, tra i tantissimi temi trattati, la musica è uno di quelli più importanti per il mondo della microeditoria autoprodotta.
Abbiamo quindi chiesto a Valeria di scegliere 4 fanzine, presenti a catalogo e a tema musicale, che lei preferisce o reputa importanti e di raccontarci i motivi della scelta. Questa è la sua selezione di alcune chicche italiane:
“Inflammable material – Punk zine n. 02” (1993)
Nel 1993 avevo 16 anni e le prime fanzine che ho avuto sottomano erano esattamente come “Inflammable Material”, fatta eccezione per il formato, perché normalmente quelle che leggevo erano in A5 e spillate al centro, mentre questa pubblicazione è di un fiammeggiante e spettacolare A3.
Carta, forbici, colla e tanta voglia di gridare. Questa fanzine parla con cognizione di causa di musica (punk), di concerti, di gruppi e autoproduzione attraverso articoli di approfondimento, annunci e recensioni.
Scelgo questa zine perché, insieme ad altre, è alla base della mia cultura di zinester e anche perché scatena immediatamente una “operazione nostalgia” incredibile. Eccomi lì, una ragazzetta coi capelli rasati, un piercing al naso e la cassetta nel mangianastri con incisa una sgangherata compilation di improbabili gruppi punk e hard core – emergenti e non – registrata da amic* e ascoltata come si dovrebbe: a tutto volume.
“Speed Demon – Underground queer zine n. 12 ” (2004)
Il look è sempre quello di una fanzine punk, fotocopia in bianco e nero, articoli di approfondimento che parlano di cultura underground arricchiti da una stupenda grafica collage, in stile “vecchia scuola” che tanto apprezzo. Oltre all’ottima qualità dei contenuti, l’aspetto innovativo di questa pubblicazione è che si tratta della prima (o comunque tra le prime) punk/underground queer zine italiane. Al suo interno quindi possiamo trovare interviste ad attivist*, artist*, gruppi punk e H/C ed etichette musicali dedicate alla scena queer underground.
Un progetto di eccellente qualità e di grande spunto culturale/sociale.
Una zine che tutt* dovrebbero leggere, per un milione di ragioni.
“Mental Beat – Rock’n’roll da cagarsi addosso n. 00” (2013)
Qui Miguel Basetta, – già autore della nota zine “Oriental Beat” – insieme ad una buona selezione di collaboratori – ha deciso di mettersi in giorno dopo anni di silenzio come zinester, con questa bellissima pubblicazione che ovviamente parla di musica, ma a differenza di dieci anni fa, lo fa con una qualità decisamente superiore, sia in termini di grafica che di carta.
Ho scelto questa zine seguendo l’istinto, prima della logica. Credo sia una naturale, oltre che di classe, evoluzione di quelle che dieci anni prima erano le zine “da cameretta” senza perdere quel magico retrogusto di un’opera underground e diy.
“Punk Rock Raduno – Fanzine Vol. 3” (2018)
Termino la mia piccola selezione di fanzine musicali, con quella che secondo me è il presente, ma anche l’auspicabile futuro delle fanzine musicali. Questa pubblicazione è una piena slavina di tutto ciò che abbraccia il mondo Punk Rock: la musica, il fumetto, la grafica, i concerti, le piccole distro che ancora sopravvivono in questo macello che è il mercato musicale mainstream. Ed essendo slavina, letteralmente si viene travolt* da immagini pazzesche, inserti e una grafica – a cura anche di quel genio che è Paolo Proserpio – che nulla ha da invidiare alle riviste patinate che si possono “trovare nelle migliori librerie ed edicole” [cit.]. Ah, tra gli inserti è presente anche un poster che riproduce la locandina di un concerto del 6 luglio nel lontano 1991 tenuto dai Ramones nella città punk rock per eccellenza, la bella La Spezia.
Devo aggiungere altro?
Se questo mondo vi ha incuriosito e volete approfondire il discorso fanzine, consigliamo questi articoli sul web (alcuni dei quali sono stati già citati nel corso del nostro articolo):
- “A brief history of zines” di Chloe Arnold (Mental Floss, 2016)
- “Media alternativi e produzione culturale: il caso delle fanzine musicali” di Salvatore Seria (Università degli Studi di Bologna, 2005)
- “Meanings of fanzines in the beginning of Punk in the GDR and FRG” di Christian Schmidt (2006)
- “Le fanzine: l’editoria come forma di espressione individuale all’interno di una comunità” di Francesco Ciaponi (Uxu Edizioni)
- “Is There Anyone Reading out There? A step into 90s Italian fanzine scene: Speed Demon and its queer community” di Elio Raimondi e Vittoria Pugliese (Futuress, 2021).
Inoltre la stessa Valeria, in un incontro online assieme al Centro Studi Edizioni del Frisco, ha citato una piccola bibliografia sul tema; vogliamo riproporla qui:
- “Whatcha mean what’s a zine? the art of making zine and mini-comics” di Mark Todd e Esther Pearl Watson (Houghton Mufflin, 2006)
- “Fanzines” di Teal Triggs (Thames & Hudson, 2010)
- “Stolen sharpie revolution: a DIY resource for zines and zine culture” di Alex Wrekk (Silver Sprocket, 2020)
- “Make a zine, start your own underground publishing revolution” di Joe Biel e Bill Brent (Microcosm Publishing, 1997)
A questi ci teniamo ad aggiungere “The Riot Grrrl Collection” di Lisa Darms (The Feminist Press, 2014).
La Fanzinoteca La Pipette Noir sul web:
“dove sta il distinguo? Cosa è una fanzine e cosa no? Probabilmente nell’attitudine Do-It-Yourself + self publishing, o almeno personalmente io tiro la riga lì.”
Io avrei detto che sono i soldi ma credo hai ragione tu, i soldi non ci sono per entrambe.
Dal mio segnalo Charta Sporca, non so se venga ancora stampata ma trovarla fuori dalle aulee studio mi è sempre piaciuto e ne ho collezionato qualche numero che ora però ho perso tra un trasloco e l’altro.
Francamente la cosa che trovo più bella è l’idea di editorialità, la sensazione che ci siano più autori che collaborano per una visione comune e non solamente una specie di gruppetto di singoli content creator che scopri poi tutti amici, forse più per convenienza che per vicinanza di idee e di carattere.
Innanzitutto grazie di aver letto l’articolo e di aver commentato.
I soldi possono essere un elemento, ma dipende cosa intendi di preciso: i soldi per farlo e stamparlo? I soldi guadagnati vendendolo? Se pensi ad una fanzine come quella del Punk Rock Raduno, dentro ci trovi sicuramente una grossa spesa (non solo in termini di tempo e di fatica ma, vedendo com’è prodotta, l’investimento non è stato basso), ma ciò la rende meno fanzine?
Concordo invece sui concetti di editorialità e di linea comune che sono essenziali nell’editoria indipendente (e che, nel nostro piccolo, cerchiamo di applicare anche a una webzine come la nostra) e che, quando vengono ben sviluppati nelle fanzine, la cosa salta subito all’occhio (per fortuna).