L’antico fascino delle cassette miste casalinghe e la loro trasformazione in playlist.

Oggi la playlist è uno strumento di ascolto ampiamente diffuso perché interviene in moltissimi aspetti del mondo musicale:

  • è un veicolo indispensabile di promozione delle canzoni;
  • è entrata nell’uso comune per ascoltatori, artisti ed etichette discografiche;
  • è diventata un meccanismo essenziale di distribuzione e marketing;
  • viene sfruttato intensamente dalle piattaforme di streaming.

Qualche numero? Spotify (di gran lunga l’attuale servizio più utilizzato nel mondo) ne ha oltre 4 miliardi (fonte: Spotify). Inoltre, ed è un dato impressionante, circa un terzo del tempo di ascolto viene speso su playlist generate da Spotify, un altro terzo per le playlist generate dagli utenti (fonte: Goodwatercap).

Ma, a parte la popolarità, possiamo definire le playlist come una sorta di mixtape dei giorni odierni? O stiamo parlando di cose completamente diverse?

Facciamo allora un passo indietro.

Il mixtape

Zoe: “Che regalo ti ha fatto?”
Abernathy: “Mi ha fatto una cassetta”
Lee: “Wow, non ti ha masterizzato il cd, ti ha fatto una cassetta. Che cosa romantica”
Kim: “A me sembra una grande dimostrazione d’amore”

(Da “Grindhouse – Death Proof”, 2007 , regia di Quentin Tarantino)
Cassette! Cassette di qualunque tipo!
Cassette! Cassette di qualunque tipo! (Fonte: Getty)

Partiamo dal fenomeno, tutto anni ‘80 e ‘90, del(la) mixtape (termine che deriva da mixed-tape), la “cassetta mista”, che alcuni chiamavano anche “cassettona”. Si trattava di una compilation su audiocassetta preparata in casa, composta da canzoni scelte meticolosamente e di cui bisognava averne obbligatoriamente una copia.

Era una cassetta creata con cura e solitamente dedicata alla persona amata, all’amico, ad un compagno di banco. A volte semplicemente fatta per il proprio piacere, magari per affrontare, assieme all’indispensabile walkman, lunghi viaggi.

Sembra un’altra epoca, me ne rendo conto. E probabilmente da diversi punti di vista è così.

“Alta fedeltà” di Nick Hornby (e il conseguente film del 2000 di Stephen Frears) è forse la testimonianza più famosa del fenomeno: come dimenticare l’ossessione del protagonista Rob Fleming (condivisa con i suoi colleghi di negozio) per le mixtapes?

Rob ci spiega come fare un mixtape perfetto

Questo perché dietro le mixtapes (quelle private e personali, non la forma pubblica legata a doppio filo alla storia dell’hip hop) c’è sempre stata una filosofia precisa, ben riassunta nel libro “Mix tape – L’arte della cultura delle audiocassette”, curato da Thurston Moore dei Sonic Youth.

Mix-Tape: The Art of Cassette Culture, 2004 – Edizione italiana a cura di ISBN Edizioni, 2008

Lo scrittore Bruce Sterling le definisce così:

Non erano musica, ma istruzione e cultura. Tramite la pratica apparentemente sterile di ritagliare, creare collage e disporre suoni con un certo ordine, si potevano impartire valide lezioni su musica e vita, per insegnarle a persone con metodi che arrivavano al cuore di ciò che la musica significava, alle emozioni che regalava.

E lo scrittore e giornalista Matias Viegener ribadisce:

Il mix su cassetta è una lista di citazioni, a tutti gli effetti una forma di poesia: il centone è un poema composto da versi estratti da altri poemi. Il nuovo poeta raccoglie e ricompone.

Tutta questa filosofia del “ti faccio una cassetta” andava di pari passo con la grande cura con cui veniva portato avanti il rito della creazione casalinga.

Come scrive Nicc Johnson nell’articolo intitolato “What about the end? The evolution from mixtape to playlist”:

Le possibilità erano limitate ed eravamo vincolati dal tempo (60/90 minuti), quindi dovevamo scegliere le nostre tracce con saggezza. Dovevamo essere spietati con la nostra selezione e assicurarci di mettere le canzoni nell’ordine giusto. Ci voleva un’attenta pianificazione ed esecuzione. Queste limitazioni in realtà ci hanno obbligati a migliorare le nostre mixtape.

E non dimentichiamo la parte grafica: scrivere i titoli, gli artisti e i brani era un modo per esprimere creatività e sperimentare basilari soluzioni grafiche d’impatto. Il risultato:

Manufatti culturali predigeriti mischiati a tecnologia fatta in casa ed evidenziatori fosforescenti trasformano il mix su cassetta in un messaggio in bottiglia.

Matias Viegener

Le evoluzioni successive: le compilation su cd e il primo impulso del web

Con il progressivo abbandono della musicassetta a favore del cd le cose iniziano a cambiare. Il senso sottostante è lo stesso, ciò che si differenzia è la tecnologia: con l’avvento del digitale, dei masterizzatori e dei programmi adeguati è più facile fare una compilation su cd.

Compilation su cd: comode ma oramai già appartenenti ad un tempo passato
(Fonte: Zyanya Bmo – Unsplash)

Negli anni 2000, in un primo impeto di nostalgia, il web ha cercato di dare nuovo impulso alla filosofia della cassetta: sono nati siti, blog e applicazioni che si fanno alfieri dell’amore per la vecchia c-60 (o c-90, perché no?).

Infatti, se già le cassette erano una fucina di emozioni e ricordi, a poco a poco sono diventate “una sorta di capsula temporale sopravvissuta” [Jutta Koether, Mix Tape] e, ancora oggi, “buttare l’occhio sulla lista dei brani di quel nastro era come leggere una pagina di un vecchio diario” [Dean Wareham, fondatore dei Galaxie 500, sempre in Mix Tape].

Sono spuntati dal nulla siti e blog che si sono occupati delle mixtape in modo nostalgico, raccogliendo testimonianze, ricordi, foto di cassette fatte o regalate. Contemporaneamente sono nate piccole app e plugin informatici che davano la possibilità di creare mix di mp3 con grafica accattivante e spesso inseribili in qualsiasi pagina web.

Una ripresa ludica del concetto di mixtape, mischiato a quello di playlist, in un’integrazione della filosofia originale con le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Ma, una volta scemato l’impulso iniziale, il 99% di tali siti sono stati chiusi o non aggiornati o mestamente trasformati in qualcosa d’altro.

Cito solo a livello di curiosità l’ancora esistente TapeDeck che raccoglie le foto di TUTTE le marche di cassette che hanno segnato l’infanzia e la giovinezza di tanti appassionati, con TUTTI i formati di durata e di qualità (cromo, ferro, ecc). La relativa pagina facebook è un piccolo must per chi ne sente la mancanza, assieme alla similare Daily Cassette.

La playlist

Lo sviluppo del web negli ultimi anni ha contribuito alla smaterializzazione della mixtape casalinga e personale, favorendo il passaggio ad un nuovo formato: la playlist. Ma queste due entità sono davvero così strettamente collegate?

Secondo Spotify sì, ed è facile notare come il colosso del web stia portando avanti proprio questo tipo di narrazione. Quando nel giugno 2015 l’azienda svedese ha lanciato Discover Weekly (una playlist generata settimanalmente che offre agli utenti due ore di consigli musicali personalizzati, mescolando i gusti personali di un utente con brani apprezzati da ascoltatori simili), l’idea era proprio quella: “il tuo migliore amico che ti prepara una mixtape ogni settimana intitolata ‘musica che dovresti ascoltare’“.

Le playlist su Spotify: sono così essenziali?
(Fonte: Cofohint Esin – Unsplash)

Le differenze però sono ben di più delle apparenti somiglianze. I due elementi che spiccano sono la comodità e l’immediatezza: le playlist possono venire create e rese pubbliche in pochissimo tempo, possono essere modificate e corrette in ogni momento.

Oggi possiamo modificare le playlist anche un milione di volte, ma a causa di ciò siamo molto più indulgenti con la nostra selezione di brani e, cosa più importante, non pensiamo davvero al viaggio. Mettiamo insieme semplicemente un mucchio di canzoni e premiamo shuffle, spesso perdendo quello che in primo luogo ha reso un mixtape così magico.

Nicc Johnson

L’altra differenza maggiore, sempre secondo Johnson, è che “Il mixtape perfetto racconta una storia. Ha un inizio, una parte centrale e, importantissimo, una fine”.

Oltre alla mancanza di ordine dei brani (preciso e immutabile nella mixtape, suscettibile di shuffle nella playlist), è proprio la mancanza della fine a caratterizzare le playlist odierne:

Oggi i servizi di streaming musicale si concentrano sull’inizio! La cura delle loro playlist è orientata alla partenza. “Scegli una canzone o un artista, per iniziare” – poi si occupano loro del resto.

Certo, è facile, comodo e collega l’utente alla musica in modo rapido. Ma quella playlist è appagante, racconta una storia, le canzoni si incastrano e comunica qualcosa in più rispetto a della semplice musica in sottofondo?

L’inizio è sempre cruciale, è comprensibile, ma l’arrivo ad un finale viene completamente sottovalutato.

Un’altra differenza è la mancanza di tangibilità: non esiste più il rapporto con l’oggetto. Se la cassetta era un regalo, l’importanza stava nell’unione del contenuto (la musica) con la forma (la sua materialità). Questo secondo aspetto si è invece perso totalmente.

La playlist è lì, ma è come se non ci fosse. E l’utilizzo dei servizi in streaming comporta anche altri problemi legati alla presenza o all’assenza delle composizioni a catalogo:

  • non c’è un controllo da parte dell’utente sulla presenza/assenza delle canzoni: potrei ritrovarmi nella spiacevole situazione di non poter inserire un pezzo a cui magari sono molto legato, perché non caricato (per tutta una serie di questioni legate al mercato dei diritti);
  • lo stesso problema si ripropone per tutto il mondo delle band minori, a volte non più esistenti, magari di nicchia. È un problema enorme di cultura musicale, che potrebbe portare all’assurda conclusione che se una cosa non c’è sul web è come se non fosse mai esistita;
  • col tempo alcune canzoni possono sparire da quella precisa piattaforma, rendendo il risultato diverso, monco, non attinente all’idea iniziale.

E quindi arriviamo all’ultima differenza enorme: il pubblico e il messaggio.

Come scrive il compositore e artista Mike Glennon nell’articolo “Mixtapes v. Playlist: Medium, Message, Materiality”:

Laddove il pubblico del mixtape è una persona precisa (amico, amato, amante), le playlist di Spotify spostano l’attenzione verso l’interno. Non sono create da qualcuno per un altro, né donate a qualcuno da un altro. Sono create algoritmicamente per me e solo per me.

La promessa di Spotify è quella di “ogni playlist selezionata solo per te ogni singola settimana”.

Spotify mantiene questa promessa attraverso l’accumulo e lo sfruttamento dell’enorme quantità di dati degli utenti. Il lavoro dietro alla playlist di Spotify, quindi, non è quello fatto per amore, spesso associato al mixtape, ma piuttosto è un esempio della pratica sempre più prominente delle grosse corporation e dei provider di servizi che beneficiano del lavoro non remunerato dei fan.

E oggi?

La mixed-tape oggi esiste ancora?

In parte sì. Ma per cercarla non dobbiamo pensare alla vecchia e fascinosa cassetta domestica, quanto più al suo gemello pubblico.

Infatti è tornata in auge la forma legata alla cultura hip hop, con una nuova contestualizzazione: si tratta di una manifestazione riconducibile al formato mixtape ma spesso senza la fisicità della cassetta. Anche se, bassi costi di produzione ed estetica hanno fatto riemergere la cassetta come supporto creativo per etichette underground, in alcuni casi molto limitati e in contesti assolutamente di nicchia.

Sono solo piccole eccezioni. Quello che esisteva nella filosofia originaria ora ha semplicemente cessato di esistere. O quasi: c’è chi, ancora oggi, usa gli strumenti del web per proporre un mixtape speciale in formato playlist.

Ma è una battaglia (giusta o sbagliata che sia) persa in partenza.

Ricordate quella frase famosa di Marshall McLuhan? “Il mezzo è il messaggio” e in questo caso non potrebbe essere più vero.