Dalla O.S.T. del film di Lynch a quella del film di Villeneuve, passando per l'irrealizzato progetto di Jodorowsky. Dune non è solo un'odissea fantascientifica ma anche musicale.

Approfondiamo le scelte musicali che hanno accompagnato le trasposizioni cinematografiche del romanzo di Frank Herbert.

Il Dune inascoltato: Jodorowsky e i Pink Floyd

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Nella narrativa cinematografica, quello di progetti mai giunti a compimento, fra visioni, sforzi produttivi fuori dal comune, incidenti di percorso e incomprensioni realizzative, è un genere a sé.

Guardando alla travagliata lavorazione di “Apocalypse Now” di Coppola e “Fitzcarraldo” di Herzog o all’apparentemente – almeno sino al 2018 – “infilmabile” “Don Chisciotte” di Terry Gilliam, si potrebbe sostenere che l’impresa nel realizzarli fu suggestiva almeno quanto, e in certi casi superando, l’esito stesso.

La storia della fallita trasposizione di “Dune” da parte di Alejandro Jodorowsky ne è rappresentazione esemplare. Frank Pavich ha dedicato lo splendido documentario del 2013, Jodorowsky’s Dune, al suo visionario approccio al seminale romanzo di Frank Herbert. Nel romanzo, pubblicato nel 1965, venivano affrontate diverse tematiche, tra cui la critica dello sfruttamento capitalista delle risorse e dei fanatismi religiosi, a cui Herbert associava un’innovativa etica ambientalista. L’idea del regista cileno su come trasporre “Dune” era chiara: la pellicola doveva essere esattamente come da lui sognata. Ad un’opera letteraria così complessa e anticipatrice doveva corrispondere una realizzazione cinematografica grandiosa.

Dalla sua viva voce apprendiamo le tante eccellenze che avrebbe voluto coinvolgere, da Orson Welles a Salvador Dalì, da Moebius a Hans Ruedi Giger. Per ognuno dei pianeti da raccontare contava di affidare le musiche ad un differente artista. Per i perfidi Harkonnen, gli antagonisti del romanzo, la scelta ricadde sul gruppo prog francese Magma, per quello del protagonista, Paul Atreides, gli unici candidati possibili erano i Pink Floyd. In un universo in cui la cui sostanza più importante è quella Spezia che amplifica i poteri percettivi, facendo viaggiare nel tempo e nello spazio, la musica targata Waters e compagni appariva la scelta appropriata. L’incontro avvenne agli Abbey Road Studios di Londra agli inizi dei settanta, dove il gruppo stava mixando il nuovo disco. Non fu un confronto semplice: i quattro musicisti infatti, in pausa dalle sessions, mantennero un atteggiamento freddo e distante, senza dare troppa attenzione al regista cileno. Quest’ultimo, dal canto suo, esplose in una feroce invettiva accusandoli di non cogliere l’opportunità di partecipare alla “più importante pellicola nella storia dell’umanità“. Solo in seguito il clima si ricompose e le parti sembrarono trovare l’intesa. Tuttavia questa collaborazione, così come il film, non vedrà mai la luce.

Se del progetto di Jodorowsky ci sono giunti esempi d’arte concettuale, lo storyboard di Moebius e memorie, delle musiche purtroppo non ci è possibile udirne nota alcuna. In compenso, i Pink Floyd nello spazio si sarebbero spinti di lì a breve col capolavoro The Dark Side of the Moon…

Il Dune inascoltabile(?): Lynch, i Toto e Brian Eno

Bisognerà attendere il decennio successivo, precisamente il 1984, per vedere finalmente “Dune” sul grande schermo. Il titanico produttore Dino De Laurentiis, insieme alla figlia Raffaella, opzionarono i diritti del romanzo affidando poi la regia a David Lynch, reduce dal successo di The Elephant Man.

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Nonostante le aspettative, il film deluse praticamente tutti: dagli amanti del libro al pubblico, fino ai suoi stessi realizzatori, Lynch in primis. Tra le cause principali, oltre al difetto di voler condensare una materia troppo densa in un tempo troppo ristretto, va annoverato il poco coinvolgimento del regista con il materiale di partenza (Lynch non conosceva il romanzo né mostrò mai reale interesse per lo sci-fi). A questo si aggiunse un montaggio finale – che falcidiò il film originale di un terzo – sul quale il regista non ebbe voce in capitolo. In seguito sarà proprio Lynch a provare il piacere di una narrazione dilatata con quel primo esempio di serialità moderna che è Twin Peaks

De Laurentiis, da buon imprenditore, volle per la colonna sonora i Toto. Se, infatti, per lo score di Flash Gordon (1980) – ricordato più per il tono volutamente parodistico e camp – De Laurentiis aveva opzionato i Queen,  analogamente, in questo caso, scelse una rock band di grande richiamo.

Nel 1984, i Toto sono di fronte ad uno degli innumerevoli cambi di direzione e formazione che saranno una costante della loro carriera. La band fu tra le protagoniste dell’epoca grazie ad un album come “Toto IV”, vincitore di ben 6 Grammy Award e infarcito di instant classic da radio FM come Rosanna e Africa. A questo si aggiunse il loro lavoro come session men per artisti di successo, tra i quali spiccavano Steely Dan, Madonna e Michael Jackson.

Nella soundtrack sono principalmente le tastiere di David Paich e la chitarra di Steve Lukather a mettersi in evidenza, che si alternano in episodi epici come l’ouverture di Main Title e in Dune (Desert Theme), mentre le percussioni di Jeff Porcaro primeggiano nella kraftwerkiana Robot Fight. Le parti orchestrali furono eseguite dai Wiener Symphoniker diretti da Marty Paich, padre di David, celebre arrangiatore e bandleader. Il resto del lavoro comprende brani dall’approccio sofisticato e minimal, affiancati a momenti più pop che ricordano fortemente la produzione di “TOTO IV”.

Episodio isolato è il Prophecy Theme, unico brano composto da Brian Eno insieme al fratello Roger e al fido Daniel Lanois, all’epoca dietro al successo di The Unforgettable Fire degli U2. È l’unico apporto del musicista inglese che inizialmente avrebbe dovuto interamente comporre la colonna sonora.

Il Tema della Profezia introduce sequenze importanti, come quella dell’arrivo su Dune di Paul, il messia, come indicato da un’antica profezia dei Fremen. Questi, gli indigeni del pianeta, all’inizio della “guerra santa” avrebbero atteso il liberatore di quel mondo dal giogo dello sfruttamento. Come per il film di Lynch, la colonna sonora godrà di scarso riscontro. L’auspicio è che il rinnovato interesse per la saga fantascientifica possa consentire un nuovo, libero da pregiudizi, approccio a entrambe.

Il Dune dell’ascolto futuro: Denis Villeneuve e Hans Zimmer

Giungiamo quindi all’ultimo approccio in ordine cronologico al romanzo di Herbert, il “Dune” di Denis Villeneuve appena approdato al cinema. Partiamo da quelle prime immagini giunteci ormai più di un anno fa col trailer, le uniche per lungo tempo causa i numerosi rinvii dovute a restrizioni e lockdown. Immagini che rimandano direttamente al “Dune” mai visto di Jodorowsky, con una cover di Eclipse dei Pink Floyd voluta da Hans Zimmer a ideale chiusura del cerchio.
Dopo gli inizi con Ultravox e Buggles, Zimmer si è affermato dagli anni ’80 come autore di colonne sonore, esplodendo nel decennio successivo con partiture fra le più celebri. Basterebbe citare “Il Re Leone” (il suo unico Oscar su ben undici nomination) oppure le proficue collaborazioni con Tony e Ridley Scott (indimenticabile quella de “Il Gladiatore“, col notevole apporto di Lisa Gerrard), Christopher Nolan (dalla trilogia del Cavaliere Oscuro ai film successivi) e Ron Howard. 

Uno stile, il suo, portato avanti anche dalla sua casa di produzione Remote Control Productions che conta artisti quali Klaus Badelt, Harry Gregson o Benjamin Wallfisch. Nelle sue composizioni Zimmer coniuga le esigenze narrative della musica d’accompagnamento ad una coerenza stilistica. Predilige una rilettura creativa e postmoderna, unendo strumenti orchestrali a sintetizzatori e strumenti informatici. Il compositore tedesco è maestro nel creare un crescendo sonoro parallelo all’azione sullo schermo, facendo “deflagrare” gli ottoni (suo marchio di fabbrica) al culmine dell’azione. Un esempio di questo climax è la memorabile suite Journey to the Line per il capolavoro “La Sottile Linea Rossa” di Terrence Malick (1998). Altro suo elemento distintivo è l’utilizzo di un suono comune utilizzato come contrappunto sonoro per evocare un’illusione uditiva, come il ticchettio dell’orologio in “Dunkirk” di Nolan (2017).

Dopo aver accompagnato quattro anni prima Villeneuve nel coraggioso tentativo di dare un seguito ad un caposaldo dell’immaginario fantascientifico quale “Blade Runner“, Zimmer approccia ora una nuova versione di “Dune“, totalmente slegata dalle precedenti. La colonna sonora è composta da 22 tracce ed è disponibile sulle principali piattaforme online.

Sono presenti episodi di grande forza, nello stile epico di Zimmer, quali Leaving Caladan e Burning Palms. Altri estremamente minimali come il sibilo ininterrotto della scena dell’ordalia di Gom Jabbar. Suggestivi e coinvolgenti sono i momenti di rallentamento e sospensione sonora, quasi a ritmare il battito del cuore del protagonista. Un battito che accelera sempre più, fino ad impennare vertiginosamente in Dream of Arrakis. La mitologia tramandata oralmente ed il tono profetico tipici del romanzo assurgono pienamente in Paul’s Dream: il brano parte con poche e delicate note al piano, cresce poi in un assolo di chitarra elettrica fermandosi di nuovo. Il grido di una donna annuncia gli imminenti e drammatici eventi apparsi nelle visioni del protagonista, le percussioni tribali debitrici dell’influsso culturale del mondo mediorientale sul romanzo e, di riflesso, sulle musiche. Una world music sintetica che ricorda in alcuni passaggi il sincretismo del capolavoro di Peter Gabriel, “Passion”, colonna sonora de “L’ultima tentazione di Cristo” di Martin Scorsese.

Un senso di oppressione e aleggiante ineluttabilità, come quella che grava sul protagonista Paul, il cui destino sarà indissolubilmente legato a quello del pianeta Dune.