Lady Gaga, in una recente intervista, allerta su quanto si stia perdendo nella musica pop con la poca accuratezza con cui si realizzano i videoclip oggi:
«Quello che è andato perso nella musica pop odierna è la giusta combinazione delle immagini dell’artista insieme alla musica, ed entrambe le componenti sono importanti”. Anche se la natura spensierata è qualcosa a cui le persone si attaccano subito riguardo alle mie cose, spero che prendano atto della natura interattiva e multimediale di ciò che sto cercando di fare.»
Con gli strumenti odierni a disposizione, in questa società sempre più fluida, chiunque può cimentarsi nella realizzazione di un videoclip. Con la presenza di prodotti tematici e professionali economicamente sempre più alla portata di tutti, come le reflex, con l’avvento di cellulari di ultima generazione e delle piattaforme online e di networking, c’è un aumento sempre più esponenziale di video musicali di vario genere. Nel 2022 guardare sul nostro computer o sul nostro smartphone video musicali di varia natura è ormai diventata una realtà consolidata, anche solo per condividere sulle piattaforme social un brano che ci piace o ci sta particolarmente a cuore. Lo dimostrano i numeri delle visualizzazioni sui canali video più importanti quali YouTube: un esempio recente per tutti è proprio il video di Stupid Love di Lady Gaga, diretto da Daniel Askill e realizzato interamente con un iPhone 11 Pro, che ha raggiunto quasi due milioni di visualizzazioni.
Le possibilità di creare video musicali si sono quindi fortemente ampliate, così come la platea dei possibili creatori. Fortunatamente il confine tra professionismo artistico, colmo di reale creatività, e dilettantismo, privo di quel guizzo capace di lasciare il segno, è ancora ben visibile nella miriade di videoclip che circolano in giro. Sicuramente i registi che hanno fatto storia nell’era di MTV (come la triade Michel Gondry, Spike Jonze e Chris Cunningham), continuano a dettare legge, a edificare la linea creativa dei videoclip più recenti e a conservare quel carattere innovativo anche a distanza di anni, affiancati da sempre più numerosi film-maker indipendenti e da nuove frontiere del genere.
In questo articolo proviamo a fare il punto sull’evoluzione del videoclip, provando a costruire le linee guida del suo futuro nell’universo audiovisivo odierno in continua evoluzione e senza più confini.
Guardando MTV
Quando nel 1981 nasce MTV, il videoclip inizia ad acquisire vera e propria rilevanza economica ed espressiva. MTV infatti non puntava esclusivamente a promuovere il videoclip in sé, ma l’intero universo dell’artista e il merchandising a esso collegato. Le case discografiche erano così pronte a fornire contenuti audiovisivi, pagandone la realizzazione, pur di avere uno o più passaggi in TV: si andava dalla “Heavy rotation” con almeno 7 passaggi al giorno alla “Medium rotation” con 3 o 4 passaggi, fino alla “Light rotation” con soli 2 passaggi. Durante il periodo di massimo splendore di MTV, le major vendevano video musicali alla televisione essenzialmente per fungere da pubblicità. Il videoclip era un veicolo che incentivava il telespettatore (e ascoltatore) a comprare il disco in vinile, in cd o in cassetta.
Con MTV si cominceranno a investire anche maggiori somme di denaro nella realizzazione dei videoclip stessi. Il primo videoclip ad alto budget fu Thriller di Michael Jackson, del 1983, che fu studiato e girato come un vero film dal regista John Landis, mentre Scream di Michael e Janet Jackson, con 10,7 milioni di dollari, è ancora considerato il più costoso.
È proprio attraverso le emittenti televisive tematiche come MTV e poi – in Italia – Videomusic, che il videoclip diventa così il manifesto per eccellenza del flusso veloce in progressione incessante, acquisendo maggiore e più specifica identità comunicativa, lanciando un vero e proprio linguaggio nuovo, così come aveva fatto la radio in precedenza, e riflettendo i cambiamenti e i gusti delle nuove generazioni. Forse non si sono ricavati gli introiti desiderati da parte delle major con la rotazioni dei videoclip su MTV, ma sicuramente molti degli artisti degli anni Ottanta e Novanta possono attribuire il loro predominio culturale a essi.
Un programma come Total Request Live ha trasformato le rotazioni dei video musicali in una sorta di competizione, con i fan che chiamavano la rete per far trasmettere i loro artisti e gruppi preferiti il più possibile, generando una potente forma di interazione ancora più avvincente e una forte fanbase per molti artisti.
Programmi del genere sembravano quasi presagire una certa forma di condivisione audiovisiva che nell’era di internet diventerà potente forma comunicativa in vasta scala. Ed è infatti con il web che il videoclip muta le sue coordinate e i suoi intenti.
Navigando su YouTube
Il 5 dicembre 2018, durante un intervento presso la Cardozo School of Law, il direttore del settore musicale di YouTube, Lyor Cohen, ha affermato che:
«The music business used to be an audio business, and then it became an audiovisual business. Now, I think it’s going to become a visual audio business.»
Questa affermazione ben inquadra l’importanza sempre maggiore della componente visuale nella promozione di un artista oggi. La sua potenza comunicativa tende spesso quasi a superare, e di gran lunga, la componente audio. Al giorno d’oggi i contenuti guidati dalla condivisione dei fan e dalla loro interazione online sono ciò che porta le major a lanciare nuovi talenti e personaggi scovati in rete e che, negli ultimi anni, hanno trasformato sconosciuti in grandi celebrità.
In prima linea nella rivoluzione del video digitale c’è stato sicuramente YouTube.

Quando YouTube è stata fondata nel 2005, MTV aveva già cambiato la sua programmazione principale puntando sui reality show, ma la ritrovata accessibilità per i fan di cercare i loro video musicali preferiti online ha aperto nuove strade alle modalità di fruizione del videoclip. Inoltre la miriade di video non musicali virali su YouTube si stavano confrontando con un nuovo tipo di estetica figurativa fatta di clip stravaganti, a basso budget e spesso senza senso: Tay Zonday e la sua Chocolate Rain , per esempio, è stata tra i primi video di internet a generare diversi meme, creati da diverse tipologie di utenti, e a entrare nella cultura mainstream. Cercando sul web, sui social e sulle immagini di Google, la quantità di meme generati da questo video è impressionante. YouTube diventa quindi il crogiolo di nuove forme audiovisive, nate per essere condivise anche altrove, per essere oggetto di parodie e meme, per diventare il più delle volte virali. Jake Nava il regista di Single Ladies di Beyoncé disse a proposito del videoclip:
«Non credo che nessuno di noi avesse previsto la quantità di parodie che avrebbe attirato.»
Eppure il web è pieno di parodie e versioni più o meno originali di quel video di danza su un palcoscenico bianco. Come racconta Claire Shaffer in questo articolo di Rolling Stone: “Lady Gaga è arrivata sulla scena musicale poco dopo, lavorando con registi visionari come Melina Matsoukas, Francis Lawrence e Jonas Akerlund per realizzare la sua idea audiovisiva: una versione stravagante della trash queer e d’essai newyorkese che aveva idolatrato. La cosa geniale dei suoi video era che non avevano bisogno di un espediente per creare clamore – era lei l’espediente. Lo stesso si può dire per i migliori video di Michael Jackson e Madonna. Ma ciò che distingue i video digital-forward come Paparazzi e Bad Romance dalle loro controparti precedenti è che all’interno delle loro premesse stravaganti, ci sono una miriade di momenti più piccoli e assurdi che volano alla velocità della luce: stampelle, modelli morti, occhi giganti in una vasca da bagno, cristalli sospesi, artigli mostruosi. Momenti pronti per i meme, quando i meme erano certamente diffusi ma non con l’esposizione mediatica attuale. YouTube diventa così la principale piattaforma di video musicali del settore, in un universo in cui i contenuti si rendevano accessibili a tutti coloro in possesso di una connessione internet e in qualsiasi momento. Il numero di visualizzazioni di un video divenne poi importante anche dal punto di vista commerciale: dal 2013 infatti, il criterio venne inserito tra quelli utili nel determinare il piazzamento in classifica Billboard di un brano. Sono arrivati così fenomeni miliardari come Gangnam Style di Psy. Questo pezzo sicuramente rappresenta al meglio la carica virale che può avere un videoclip.
Per alcuni artisti non troppo famosi azzeccare un video che poi diventi virale può segnare una vera e propria svolta. Realizzare un video virale è un’arte, non una scienza, e soprattutto se sei un artista più piccolo può fare la differenza. In questo contesto come non menzionare gli Ok Go che furono tra i primi a diffondere esclusivamente online su Youtube i propri videoclip. La band ha praticamente costruito la sua carriera su video lo-fi ingannevoli come nel caso proprio di Here It Goes Again del 2006, in cui balla in sincrono su un tapis roulant davanti a una telecamera fissa.
È il tipo di danza che successivamente sarà di casa su TikTok nel 2020, ma agli albori di YouTube non c’era davvero nessun video musicale del genere. Gli Ok Go la eseguiranno anche agli MTV Video Music Awards del 2006, e sembra quasi il gesto inconscio, da parte dell’emittente televisiva, di passare il testimone a una nuova piattaforma.
Condividendo sui social network
I social network mescolano ancor di più le carte in tavola, delineando nuove traiettorie nella fruizione e nella realizzazione dei videoclip. I videoclip dominano in maniera più incisiva l’universo dell’entertainment e del marketing. Muta inoltre la loro fruizione, sottomessa alla potenza dell’algoritmo, con la necessità di una visualizzazione omni-schermo. Non solo TV dunque, ma anche tablet, smartphone, pc. A tutto ciò si aggiunge la potenza sempre più dominante dello streaming. Basti pensare alla forza di condivisione durante il covid con i concerti in streaming, e la rapidità sempre più personale, originale e coinvolgente di video “usa e getta” vicini alle Stories e ai Reel di Instagram. La televisione tradizionale ha ancora il suo peso, ma ad essa si affiancano una miriade di canali digitali on demand e di visioni legate all’era di internet.

Dicevamo dell’enorme potenzialità odierna del live streaming, soprattutto durante il periodo del covid, ma da sempre esso è stato un potente strumento di fidelizzazione del pubblico. Kanye West ha utilizzato un’app di streaming live relativamente piccola, chiamata WAV, per trasmettere la festa di lancio del suo album Ye, che ha catapultato WAV in cima alle classifiche musicali nell’App Store iOS. Ariana Grande ha attirato fino a 829.000 spettatori simultanei alla première dal vivo del suo video musicale di Thank U, che lei e il suo team hanno orchestrato utilizzando la funzione Premiere di YouTube. Non bisogna dimenticare il live streaming di interi eventi come il Coachella, un festival negli anni capace di dettare le tendenze non solo musicali ma anche di lifestyle a livello globale. Un’altra fonte di potenziali entrate nel livestreaming riguarda i contributi diretti degli utenti, sotto forma di donazioni o del “pay-what-you-want”. Sullo stesso versante si muovono le piattaforme di micropagamento e crowdfunding come Patreon, nelle quali spesso si chiede un contributo ai fan nella realizzazione dei video musicali.
Nel 1965 Bob Dylan ha un’idea interessante per Don’t Look Back, il documentario di D. A. Pennebaker che racconterà il suo tour di quell’anno. Con dei cartoncini, sui quali sono state scritte parole e versi significativi di Subterranean Homesick Blues, il cantante lascia cadere a terra i fogli a tempo di musica, creando di fatto un videoclip con tanto di “sottotitoli”. Un linguaggio innovativo dunque per quegli anni e che recentemente ha preso vita nuovamente, adattandosi al mondo dei social network e divenendo una sorta di video musicale “collaborativo” dell’era di Instagram. In occasione dell’uscita del singolo Duquesne Whistle è stato infatti realizzato un lyric video “in verticale”. Al filmato hanno contribuito i suoi fan canadesi, a cui è stato chiesto di scattare foto contenenti il proprio verso preferito e di pubblicarle su IG usando l’hashtag #DylanLyricPhotos. Anche Alicia Keys ha inserito degli scatti dei suoi sostenitori nel video che ha accompagnato l’uscita del singolo New Day. C’è poi il brano Out Of The Game di Rufus Wainwright, diretto da Chris Friend e realizzato con immagini pubblicate su Instagram: un collage in cui ogni fotografia simboleggia una parola della canzone. E ancora il video di You Should See Me in a Crown di Billie Eilish girato interamente in verticale.
Piattaforme come Periscope prima per il live streaming, Instagram, Vine e il più recente TikTok aprono così nuove frontiere del video musicale in un universo social fatto di nuovi formati video e clip di pochi secondi. Negli ultimi anni, il più grande cambiamento generale nei video musicali è stata proprio l’ottimizzazione per le piattaforme mobili. Non è raro ora vedere video con proporzioni quadrate o verticali, progettati per lettori video di telefoni cellulari o display a griglia di Instagram. Post Malone ha pubblicato, ad esempio, un video per Circles, che richiedeva la riproduzione simultanea della canzone su due playlist diverse su due telefoni fianco a fianco. Oggigiorno gli artisti tendono inoltre a incorporare sempre più video e altri elementi visivi non solo nei loro processi creativi, ma anche nei loro modelli di business fin dall’inizio di un progetto, rivolgendosi a un pubblico vincolato come Instagram, YouTube, TikTok e persino Netflix.
C’è poi la brevità che accompagna i social di ultima generazione e alla quale molti artisti ed etichette discografiche hanno ceduto per attirare sempre più ascoltatori. La Geffen Records ha per esempio rafforzato la sua partnership con Snapchat. Nel 2018 la rapper Tierra Whack, ha pubblicato Whack World, un album composto da 15 pezzi da un minuto l’uno che potrebbero anche essere una canzone da 15 minuti. Ogni brano è stato inserito nel suo canale Instagram da un breve video che fa tutto il possibile per mettere a disagio lo spettatore, creando un contrasto con il senso di gioia che trapela dalle canzoni stesse. Il risultato è quasi una sorta di mini documentario che è utile a chi ascolta il suo album per comprendere meglio il suo messaggio. Lo stesso esperimento lo ha fatto Little Simz col suo mini film del brano I Love You, I Hate You che aiuta a contestualizzare la storia dietro al pezzo omonimo. Sulla stessa scia, gli Wolf Alice hanno creato un unico filmato che comprende i video di tutte le tracce del loro ultimo lavoro “Blue Weekend”, che in questa veste può essere fruito ancora meglio dagli ascoltatori come concept album (come è stato effettivamente concepito).
Il settore dei video musicali è infine sempre più determinato a trarre ispirazione da Netflix soprattutto quando si tratta di spingere i confini della personalizzazione e della localizzazione. Un articolo uscito su Forbes, spiega bene le nuove frontiere in tal senso. Per tutta la seconda metà del 2018, la Universal Music Group, ad esempio, ha pubblicato non uno ma sei diversi video verticali del singolo Wait (featuring Offset & Vory) di Chantel Jeffries su Spotify, ognuno dei quali è stato personalizzato per una playlist diversa sul servizio (in particolare playlist di skate, viaggi, latino, pride, DJ e party).
Immergendoci nella Virtual Reality
Durante un’intervista i componenti della 2Immersive4U, una start-up guidata da alcuni professionisti della musica con l’obiettivo di cambiare l’esperienza video, hanno dichiarato:
«Guardando il mercato, tutto sta diventando interconnesso. I grandi artisti utilizzano piattaforme e tecniche di gioco (come ha fatto Travis Scott con Fortnite), la fusione di idee incredibili e nuovi media sta diventando il futuro. Per noi la visione video a 360° è solo l’inizio.»
Il futuro del videoclip è dunque ancor più immersivo, ibrido, interconnesso e contaminato, anche dal punto di vista degli strumenti utilizzati nella sua realizzazione, come l’esempio del video di Lady Gaga che abbiamo citato all’inizio, ed è frutto di un sempre maggiore utilizzo di strumenti quali virtual reality, realtà aumentata e video immersivi a 360 gradi. La 2Immersive4U, per esempio, mescola le ambientazioni del gaming ai video immersivi a 360°, con un processo proprietario basato sul motore grafico Unreal Engine, creando ambienti coinvolgenti che offrono un’esperienza narrativa unica. L’Unreal Engine nasce nel 1998 e ancora oggi viene utilizzato non solo per l’animazione nel gaming ma anche nel cinema e nelle serie tv, come nel caso di The Mandalorian, WestWorld e The Lion King. Di esempi se ne possono fare altri, come il videoclip dei Gorillaz, Saturn Barz (Spirit House), che è un viaggio in treno che finisce sulla luna, pubblicato il 27 marzo 2017 su YouTube. Sono state create due versioni: uno sfrutta la funzione video a 360 gradi di YouTube, mentre l’altro no. L’onda della Virtual Reality colpisce anche Björk, lei che ha sempre lasciato spazio alle sperimentazioni nei suoi video musicali. Per il suo tour mondiale Björk Digital, la cantante islandese ha estratto 4 tracce dall’album del 2015 Vulnicura, i cui video erano stati registrati per la fruizione in VR: Notget, Black Lake, Mouth Mantra e Stonemilker. La compagnia HTC ha fornito il supporto tecnico a Björk. Nel video di Notget, diretto da Warren Du Perez e Nick Thornton Jones, dove l’avatar virtuale di Björk danza in un oceano digitale, ad esempio sono state combinate scansioni tridimensionali in hi-res, motion-capture, video-grammetria – che sfrutta la tecnologia di misurazione delle coordinate tridimensionali delle immagini da diverse angolazioni: attraverso due telecamere che riprendono in contemporanea l’oggetto oppure mediante frame successivi catturati dalla stessa telecamera – e una sonorizzazione completamente avvolgente, per consentire all’utente di muoversi all’interno di uno spazio virtuale audio-video a 360°.

Un ultimo esempio recente, che forse fa ben comprendere la potenza comunicativa che oggi può avere il videoclip e come lo stesso tenda spesso ad avvicinarsi molto anche alla poetica della video-arte, è il visual Ep Eutopia dei Massive Attack uscito nel 2020. L’EP, composto da tre brani, rappresenta infatti un vero e proprio manifesto contemporaneo audio-visivo, una finestra moderna aperta su un universo dal messaggio ben preciso, un vero e proprio esperimento crossmediale. Il titolo si ispira all’ opera filosofica del 1516 di Tommaso Moro/Thomas More, e raccoglie al suo interno tre tematiche globali fortemente attuali: la crisi climatica, il reddito di base e i paradisi fiscali. La componente sonora, incisa in tre luoghi differenti durante il lockdown (California, Ginevra, San José), si avvale delle collaborazioni degli Young Fathers, del rapper e poeta Saul Williams e degli Algiers. Le incisive pennellate di spoken word sono invece state affidate a tre esperti: Christiana Figueres, segretario esecutivo della United Nation Framework Convention on Climate Change; l’economista inglese Guy Standing, professore della Soas University di Londra e studioso del reddito di base; il francese Gabriel Zucman, professore di economia e teorico dei paradisi fiscali. La componente visiva è stata scritta e diretta dallo stesso Robert Del Naja e dal filmmaker Mark Donne e prende forma attraverso gli splendidi visual curati da Mario Klingemann.
Sul versante “intangibile” del Metaverso, la Warner Music Group, ha da poco annunciato l’acquisto su The Sandbox, un ambiente dedicato ai videogiochi virtuali, di una vastissima area. L’obiettivo, dicono i responsabili della società, è quello di creare ‘Il primo mondo tematico musicale’.

Blockchain e NFT peraltro stanno già facendo la loro apparizione nel mondo musicale. Sugli NFT si sono lanciati John Legend, Snoop Dogg, la band inglese Kings of Leon, riuscendo a vendere la loro produzione artistica tramite token, premiando i fan con esperienze personalizzate. È invece italiana Music City, che nasce con l’obiettivo di creare un Metaverso tutto musicale. Essa sta creando un incubatore di artisti e fan, eventi e live, videoclip, produzioni musicali a vario livello e ancora merchandising, music NFT, music games in modalità play to earn, case discografiche, radio, magazine, fanzine e due format studiati ad hoc per supportare in modo reale e democratico artisti emergenti. Una sorta di circo musicale all’interno del quale è possibile vivere la musica a tutti i livelli, sotto tutte le sue forme. All’interno di questi universi sempre più liquidi, anche gli orizzonti dei videoclip odierni tendono sempre di più a confondersi, a superare sempre più barriere e forse, molto prima di quanto immaginiamo, anche loro, assieme alla musica live, verranno riversato interamente ed esclusivamente nel Metaverso, riducendo sempre di più i confini tra mondo reale e virtuale.
Conclusioni
Il videoclip negli anni ha cambiato volto, pur conservando sempre un po’ la sua anima tradizionale. Si è evoluto, andando sempre di pari passo con le innovazioni filmiche, ma anche culturali, in atto. Oggi resta un potente strumento di promozione per l’industria musicale, ma è anche diventato, fortunatamente, un vero e proprio esempio di forma d’arte audiovisiva, al pari di un film, capace di dare poesia, corpo, creatività, unicità e valore artistico aggiunto al brano stesso. Forti della loro potenza autoriale i registi di videoclip, molto più degli altri, sono riusciti a catturare la vera contemporaneità della realtà che ci circonda, con un sguardo sempre puntato sull’attualità e su un mondo in continua evoluzione. Il futuro dei video musicali forse sarà tutto nel Metaverso, gli avatar soppianteranno del tutto gli essere umani, o forse, chissà, come è successo nella produzione musicale, volgerà lo sguardo sulla Retromania, su un passato cinematografico in bianco e nero alla Méliès. Lo scopriremo solo guardando.